di Tiziana Pikler

Una grande occasione persa. Il campionato di serie A femminile non riprenderà. La comunicazione è stata ratificata dal Consiglio federale ma la decisione è stata presa prima e altrove. Il rimpianto è grande perché per chiudere la stagione, quella post Campionato del Mondo dove le azzurre hanno messo a segno il colpaccio qualificandosi a sorpresa per i quarti di finale, mancavano solo sei (sottolineiamo sei) giornate e un recupero-spareggio tra Milan e Fiorentina per il secondo posto nella Women’s Champions League del prossimo anno.

La prima stagione dopo quel Francia 2019 che ha fatto innamorare l’Italia delle ragazze mondiali doveva essere quella dell’ulteriore passo avanti del calcio delle donne, quella dell’incremento del numero delle tesserate, quella della conferma della compattezza del sistema per uno sviluppo del movimento. Invece, un anno dopo quel 9 giugno che ha visto l’esordio dell’Italia al Mondiale con la vittoria in rimonta delle azzurre sull’Australia con il gol di Barbara Bonansea nei secondi finali che ha regalato alle nostre il primo posto nel girone, ci ritroviamo senza la conclusione del massimo campionato nazionale.

Perché? La domanda sorge spontanea. Vediamo i fatti. La Figc non ha bloccato il campionato di serie A femminile come ha fatto con i dilettanti. Un’attestazione di buona volontà sulla strada che dovrebbe portare al riconoscimento del professionismo delle calciatrici. Con il decreto “salva-calcio”, ancora la Figc ha stanziato 700mila euro a favore della ripresa del campionato. Sicuramente non molti, se si pensa che la Federcalcio francese ha destinato 10 milioni di euro e quella tedesca 700mila euro per ogni club di Bundesliga.

Sempre la Figc ha tentato un compromesso con la proposta di playoff e playout brevi, a sei squadre, per decidere Champions League e retrocessioni in sede unica, a fine luglio, con protocollo anti Covid-19 pagato dalla federazione e titolo alla Juventus. Un’ora prima del consiglio federale di ieri, che avrebbe dovuto mettere la parola fine alla solita commedia all’italiana, la doccia fredda con il Comunicato dell’Aic e la posizione delle calciatrici: torniamo in campo tutte o nessuna. Posizione condivisibile, certo.

Però, la realtà dell’epilogo ha mostrato le falle di un sistema che non c’è più. Il movimento del calcio femminile aveva ritrovato nuovo slancio quando si era riuscito a creare un nuovo e fruttuoso dialogo tra le diverse componenti, istituzioni federali, club e calciatrici. Tutti uniti dalla condivisione di un progetto che, attraverso una strategia a medio termine, avrebbe dovuto portare a un obiettivo: un movimento del calcio femminile in grado di autosostenersi economicamente, la base del tanto auspicato professionismo.

Il coronavirus, invece, ha spaccato quel fronte e a testimoniarlo ci sono le parole di Ludovica Mantovani, presidente della Divisione Calcio femminile, all’indomani dell’ennesimo tavolo di confronto tra i club: “Le posizioni delle 12 società risultano estremamente articolate e differenti tra loro”. Il riscontro di queste posizioni “differenti e articolate” si ritrova nelle attività svolte in queste settimane dalle società.

Solo Juventus e Milan hanno ripreso gli allenamenti, le due società che insieme a Tavagnacco e Orobica volevano riprendere a giocare. Fermo il no della Pink Bari e della Fiorentina, mentre altre società come l’As Roma chiedevano più tempo per far rientrare le calciatrici straniere, viaggio di ritorno già fatto da tempo dalle straniere in bianconero.

Ebbene il blocco del campionato ha sottoscritto questi verdetti: Juventus prima in classifica ma titolo non assegnato (Francia, Spagna e Inghilterra hanno decretato invece le vincitrici), alla Fiorentina va il secondo posto in Champions assegnato all’algoritmo (uguale a quello degli uomini, almeno quello) a scapito del Milan, Orobica e Tavagnacco (che sta valutando il ricorso) retrocesse, Bari salvo. Dalla serie B salgono Napoli e San Marino.

A conti fatti si è persa l’opportunità di dimostrare sul campo quello che si andava dicendo da tempo: il calcio femminile è portatore di valori diversi da quello degli uomini, meno interessi e più genuinità e amore per il gioco. A farne le spese, dopo le meritate vacanze estive, potrebbe essere la Nazionale che tornerà in campo a settembre per le sfide decisive per la qualificazione agli Europei 2022, con le azzurre senza partite nelle gambe dal 22 febbraio.

E sì che la ct Milena Bertolini, fin dalle settimane del lockdown, aveva auspicato un segnale forte dal calcio delle donne: “Riprendiamo prima degli uomini, possiamo farlo”. Invece, ne è nata una nuova, grande occasione persa.

Photo credit: LFootball
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