Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)

Giulio Andreotti si alza in piedi, stende le braccia, si rimette seduto sulla sua poltroncina. Deve solo seguire il flusso, non perdere il ritmo dettato dai suoi vicini. Anche se si trova nel cuore della tribuna autorità. Perché in quella serata del 9 giugno 1990 il presidente del Consiglio ha deciso di sbottonarsi e seguire la ola che sta increspando gli spalti dello Stadio Olimpico. Qualche metro più in là Salvatore Schillaci corre a perdifiato sul prato verde. Ha la bocca aperta e i pugni chiusi. Ma, soprattutto, sembra che i suoi occhi stiano per rotolare giù dal cranio. Neanche lui riesce a rendersi conto di quello che ha fatto. O forse l’ha capito perfettamente. Perché l’attaccante della Juventus è entrato al posto di Carnevale da appena 3’ quando Vialli mette in mezzo un cross dalla destra. Schillaci prende posizione, salta, colpisce di testa. Il pallone è centrale ma viaggia veloce. Troppo per Klaus Lindenberger. È un gol importantissimo. È il gol che permette all’Italia di battere l’Austria nella partita d’esordio del Mondiale.

E Schillaci, che non arriva al metro e settantacinque, l’ha segnato staccando fra i due altissimi centrali in maglia bianca. Le notti magiche sono appena iniziate, ma il ragazzo di Palermo è già diventato il Salvatore della patria. Nessuno ci avrebbe mai scommesso. Soprattutto lui. Perché il mese di maggio era stato piuttosto fantasioso nel frustrare le sue speranze. Il 2 si era giocata la finale di andata di Coppa Uefa. Juventus contro Fiorentina. I bianconeri vincono 3-1. Schillaci gioca titolare ma non segna. Eppure riesce a trovare un modo tutto suo per farsi notare. “Gli juventini si sono comportati male – accusa Volpecina – ci hanno preso in giro. Schillaci addirittura ci ha fatto linguacce“. L’attaccante finisce nel mirino dei tifosi. Esattamente come Roberto Baggio, che qualche giorno dopo sarà venduto dalla Fiorentina proprio alla Juventus.

Quando parte il ritiro dell’Italia si scatena la caccia all’uomo. Perché Coverciano è a due passi da una Firenze che dopo l’annuncio della cessione del fantasista ha vissuto una guerriglia urbana. I tifosi prendono a calci la Lancia Thema di Totò. Poi iniziano con i cori. I più generosi lo chiamano terrone, gli altri si divertono a infierire. Non che a Baggio vada meglio. Qualche tifoso gli lancia alcune monetine, altri gli gridano “venduto”. I più ironici la buttano sullo scherzo: “Come son brutti, Roberto come son brutti” intonano riferendosi ai suoi nuovi compagni juventini. Ma loro, i suoi futuri compagni, ci scherzano su. O almeno ci provano. Tacconi guarda Baggio e gli dice: “Sai qual è l’unico giornale a cui è abbonato Schillaci?”. Il portiere fa una pausa per aumentare la suspense e poi aggiunge: “Quattroruote!”. Seguono risate. Alcune genuine, molte di cortesia.

Il ct Vicini sopporta e prova a disegnare la sua squadra. Qualcuno dice che la Nazionale può contare su addirittura 15 coppie d’attacco, tutte di livello. In verità è proprio il reparto offensivo a preoccupare maggiormente il cittì. Mancini è scivolato all’ultimo posto nelle sue gerarchie, Serena lo precede di poco. Il medico Vecchiet prepara una scheda su ogni giocatore. Serve a capire il loro stato atletico. Il migliore è Maldini. Quelli più indietro sono Carnevale, Baggio e Schillaci. L’unico sicuro del posto è Gianluca Vialli. Eppure l’attaccante blucerchiato ha perso buona parte della stagione per problemi fisici. E ora fatica a ritrovare quella rapidità nel dribbling che tanto piaceva a Vicini.

Il 30 maggio arriva l’amichevole contro la Grecia. E Vicini decide di dare una chance a Schillaci. Solo che Totò sembra fare di tutto per denigrarsi, per sminuirsi, per fare economia sui suoi stessi sogni. Ogni volta che apre bocca è uno spot per i compagni. “Ora so che posso giocarmi la possibilità per un posto da titolare al Mondiale – dice – ma a me anche 20’ a partita sarebbero andati bene”. Le sue conferenze stampa sono uno spaccato sociale più che tecnico. “Sono così veloce perché a Palermo l’unico campo in erba era quello della Favorita – spiega – io ho giocato sulla terra, sulla sabbia, sui sassi”. Da giovane faceva il gommista. Tanto che quando i bianconeri l’hanno prelevato dal Messina, un anno prima, Hurrà Juventus aveva pensato bene di fotografarlo fra pile di copertoni. Il Partito Repubblicano, invece, lo voleva addirittura candidare a Messina. Schillaci però ha rifiutato: “Sono ignorante in materia e non ho simpatie per nessun partito politico. Non ho mai votato in vita mia”.

Contro la Grecia è un disastro. Finisce 0-0. Schillaci è sostituito al 70’ da Baggio. E tanto basta all’attaccante della Juventus per ricominciare a screditare se stesso. “Non sono affatto deluso per la sostituzione – racconta – mi stava bene anche giocare mezz’ora. Anzi mi aspettavo di essere sostituito all’intervallo“. Le briciole diventano cibo a sufficienza. L’ultima amichevole è contro il Cannes. Si gioca ad Arezzo a meno di una settimana dall’esordio mondiale. Schillaci è titolare. Di nuovo. Schillaci non segna. Di nuovo. Per l’esordio contro l’Austria Vicini sceglie Vialli e Carnevale.

L’Italia costruisce ma spreca. Tutti si aspettano che nella ripresa Baggio prenda il posto dell’attaccante del Napoli. Vicini gioca in contropiede e manda in campo Schillaci. Il cross di Vialli, la testa di Totò, l’ola di Andreotti. Qualcuno parla della staffetta fra Carnevale e Salvatore come una nuova versione di quella fra Rivera e Mazzola. Tutti sanno che è paragone azzardato, ma non c’è niente di meglio di un’esagerazione per far sognare una Nazione. Contro gli Stati Uniti, il 14 giugno, Vicini manda ancora in campo Carnevale. E lo sostituisce ancora una volta con Schillaci. L’unico gol della partita, quello che vale due punti, lo segna Giannini all’11’. Ma tutti ormai sanno benissimo che qualcosa è cambiato.

Tutti tranne Totò. Lui non ha tempo per pensare, per realizzare. Dopo la sfida parte per Torino. Perché sua moglie ha appena partorito. “Il primo regalo per mio figlio Mattia sarà una palla – dice l’attaccante – a mia moglie ho mandato quindici rose di tutti i colori. Il numero è casuale”. Totò non è più l’ultimo degli attaccanti, non deve più guardare gli altri. Perché tutti ora guardano lui. E tutti vogliono vederlo in campo. Prima dell’ultimo match del girone, quello contro la Cecoslovacchia, si ferma Vialli. Problema al flessore dicono i medici. È il momento di Roberto Baggio. “Quando l’ho saputo? Il mister me l’ha detto adesso”, dice il fantasista alla vigilia della partita.

Eppure il citi aveva giurato di averlo avvisato con un anticipo di due o tre giorni. “Forse – taglia corto Baggio – ha cercato di farmelo capire nei giorni scorsi ma non me ne sono accorto”. Per fortuna l’intesa con la punta siciliana è migliore. Finisce con 2-0 per l’Italia. Con gol di Baggio e di Schillaci. È nata una coppia. E si amalgama alla perfezione. Roberto in campo è elegante, fine, ricercato. Salvatore è più rozzo, istintivo, basilare. Ma è ugualmente efficace. “Non avrei scommesso neanche una lira su Schillaci in Nazionale – dice Totò – sono felice perché adesso la gente ha smesso di insultarmi”.

Il mondo non fa che parlare di loro due. “Baggio ha il cambio di velocità di Maradona, il controllo palla di Maradona e il tiro finale di Maradona”, racconta Carlos Bonelli, inviato del Nuevo Sur di Buenos Aires. “Il giocatore migliore di questo mondiale è Schillaci”, giura Hector Drazer di Radio Argentina el Mundo. Dalle tribune, invece, parte un coro. E dice che Schillaci è più forte di Pelé. Niente male per uno che 12 mesi prima giocava in B. “Ho gli occhi spiritati perché c’è rabbia dentro di me – racconta Schillaci – rabbia vera”. Totò diventa il simbolo di un Paese che vive nella tensione e nella voglia di rivalsa. I tifosi soffiano sulle sue ali. E la Nazionale comincia a volare.

Agli ottavi gli azzurri affrontano l’Uruguay. Schillaci segna il primo gol. Il raddoppio lo segna Serena, figlio d’un contadino di Montebelluna che sogna con la musica di Springsteen. Si va avanti. Almeno fino ai quarti. Contro l’Irlanda basta un tiro di Donadoni ribattuto in maniera maldestra da Pat Bonner. Schillaci ha tutta la porta libera e insacca comodamente. “Come filo meridionale sono molto contento del gol di Schillaci – dice il presidente del Senato Spadolini – questa è la migliore risposta alle leghe e a tutti i razzismi antimeridionali”. Forse è anche per questo che Totò non si ferma più. Perché l’Italia del benessere ha bisogno di cullare un sogno proletario. In semifinale, contro Maradona, Schillaci segna ancora. Porta in vantaggio gli azzurri con un altro tap in. È il quinto gol del suo Mondiale, il quinto orgasmo che regala alla patria. Poi, al 68’, l’uscita di Zenga e la testa di Caniggia cancellano il lieto fine azzurro. Ai rigori segnato tutti. Tutti tranne Donadoni e Serena. È la fine del sogno. L’Italia s’è desta. Schillaci segnerà ancora un gol, su rigore, nella finalina contro l’Inghilterra. Un tombolicchio che non rende felice nessuno. Neanche Totò che con quella rete diventa capocannoniere del Mondiale.

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