Frequento la comunità di Bose da più 25 anni e non posso pensare a Bose senza Enzo Bianchi. Colui che 54 anni fa fondava questa creatura osando la convivenza tra fratelli e sorelle e aprendo la strada all’ecumenismo dovrà abbandonare la sua casa, obbediente ad un provvedimento della Santa Sede che nessuno, a parte forse gli interessati, ha ben compreso. Chi ha camminato accanto alla comunità di Bose non può non ricordare il valore umano, prima, e religioso poi di una persona come Enzo Bianchi.

Enzo, mi permetto di chiamarlo così perché mi ha fatto dono della sua amicizia, è stato il padre di Bose, ha avuto uno sguardo amorevole verso i suoi fratelli e le sue sorelle ma anche verso tanti uomini e donne che sono passati da Bose. Ha saputo accogliere chi ama la Chiesa, chi si professa cristiano, chi vive nella Chiesa e chi come me crede di essere ateo. Non è mai stato indifferente verso nessuno e ha seminato nella comunità cristiana la speranza di una Chiesa nuova, capace di ancorarsi alla Parola e di tradurla nella vita fragile di ciascuno.

Non solo. Enzo come pochi altri ha capito quanto fosse importante “essere nel mondo ma non del mondo”, stando tra la gente, credendo nel valore della cultura. Con lui se ne dovranno andare fratel Lino Breda, Goffredo Boselli e sorella Antonella Casiraghi. Non sono nomi sui quali non soffermarsi. Le loro storie fanno parte della comunità di Bose, hanno accompagnato la vita di Bianchi.

Lino, segretario della comunità, è il più “anziano” dei tre. Vive a Bose da 38 anni. Son in tanti a ricordarsi di lui quando la comunità era ancora poco più che una cascina con una minuscola chiesa al centro. E’ stato un punto di riferimento per molti amici di Bose e un amico prezioso di tanti giovani che sceglievano questo luogo in Piemonte per coltivare la loro crescita umana e cristiana.

Antonella, già sorella responsabile della parte femminile della comunità, è arrivata lì 25 anni fa. E’ stata scelta da Bianchi per “guidare” le monache e ha svolto questo servizio con umiltà e dedizione spassionata. Ma non solo. Ha continuato ad occuparsi dell’accoglienza degli ospiti. L’ho vista rispondere a due telefoni contemporaneamente, ascoltare le sue “sorelle”, lavare i piatti e ascoltare uomini e donne giunti a Bose con sofferenze sulle spalle.

Goffredo, responsabile della liturgia dal 2000, a Bose da 27 anni. Dove c’era Enzo, c’era Goffredo. Dal 2003 è curatore dei Convegni Liturgici Internazionali di Bose consacrati al rapporto liturgia, architettura e arte. Mente fine, acuto pensatore, dottore in teologia a l’Institut Catholique di Parigi, è stato una presenza preziosa nella comunità e nella Chiesa.

Perché allontanare questi tre oltre all’ex priore? Possono bastare delle frizioni nate nel Capitolo, il “parlamentino” della comunità? Di quali colpe si sarebbero macchiati questi tre? Di ostruzionismo? Della fedeltà all’ex priore? Detto questo restano molti interrogativi sul “caso” Bose.

Tutto è iniziato con la visita apostolica di P. Abate Guillermo León Arboleda Tamayo, Osb, al Reverendo P. Amedeo Cencini, Fdcc e alla Reverenda M. Anne-Emmanuelle Devéche, Ocso, abbadessa di Blauvac, svolta a dicembre. Le ragioni? Un comunicato della stessa comunità di qualche giorno fa dice: “In seguito a serie preoccupazioni pervenute da più parti alla Santa Sede che segnalavano una situazione tesa e problematica nella nostra Comunità per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del Fondatore, la gestione del governo e il clima fraterno”.

Ma chi ha chiesto a Roma d’intervenire? E perché il Vaticano si sarebbe dovuto “scomodare” per l’esercizio dell’autorità del fondatore? Se poi fosse solo una questione di “esercizio dell’autorità del fondatore” che c’entrano gli altri fratelli e sorelle? Perché qualcuno si sarebbe servito della Chiesa per far fuori Enzo Bianchi e gli altri tre?

Resta poi un altro punto da capire e che forse non avremo mai modo di comprendere. Qual è il contenuto del decreto emesso dalla Santa Sede nei confronti di Bianchi, Boselli, Breda e Casiraghi? Trattandosi di un atto riservato è difficile intuire, ma questa vicenda qualcuno ha voluto che uscisse dal segreto e diventasse patrimonio dell’opinione pubblica. Perché? Per ferire Bose, per togliere autorevolezza a questo avamposto della Chiesa capace di cammino ecumenico?

Lo stesso fondatore in un comunicato di qualche giorno fa scriveva: “Invano, a chi ci ha consegnato il decreto abbiamo chiesto che ci fosse permesso di conoscere le prove delle nostre mancanze e di poterci difendere da false accuse”. Sembra che questa possibilità non vi sia stata. Nella giustizia ordinaria vi sono ben tre gradi di giudizio prima di arrivare ad una sentenza definitiva e inappellabile mentre qui la Chiesa ha emesso un provvedimento durissimo.

Infine una domanda banale: e il Papa? Bergoglio non ha mai nascosto la sua stima per Bose e per Enzo Bianchi. Il decreto è stato “firmato dal Segretario di Stato di Sua Santità e approvato in forma specifica dal Papa”. Il Papa quindi sa. Siamo davvero di fronte – come scriveva Alberto Melloni su Repubblica nei giorni scorsi – a una “faida vaticana contro Francesco” che “ha saputo usare la litigiosità monastica, la Segreteria di Stato e il Papa stesso per togliere di mezzo persone vicino al pontefice?”. Può essere che Bergoglio sia così ingenuo o forse non è così progressista come appare?

Ciò che è certo è che c’è una romanizzazione di Bose. Il Vaticano, con la complicità di qualcuno della comunità, ha voluto metter le mani su quest’angolo del mondo che ha saputo aprirsi ad altre chiese e ai più diversi cammini umani dando “ospitalità” a separati, omosessuali, atei e altri ancora.

La vicenda di questi giorni, che ho avuto modo di seguire da vicino, lascia una profonda tristezza e amarezza a tutti gli amici della comunità di Bose. E sono tanti. E’ una ferita nella Chiesa. E’ una tormenta che si porta via non solo le storie di tre grandi uomini e una donna, ma lascia sul “prato” i cocci di un’esperienza che difficilmente potrà tornare come prima.

Resta una speranza. Nel comunicato di ieri sera si scrive: “A partire dai prossimi giorni, dunque, per il tempo indicato nelle disposizioni, essi vivranno come fratelli e sorella della Comunità in luoghi distinti da Bose e dalle sue Fraternità”. Enzo, Lino, Antonella e Goffredo potranno tornare a Bose? Sarebbe un grande segno di umanità, misericordia e riconciliazione capace di dare una lezione di vita a ciascuno di noi.

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