“Speriamo che il decreto della Santa Sede sia sospeso e per il tempo di sei mesi/un anno si faccia un cammino di riconciliazione nella comunità”. A parlare è una fonte interna alla comunità di Bose. Il giorno dopo la notizia del provvedimento della Santa Sede che chiede al fondatore Enzo Bianchi e ad altri due fratelli (Goffredo Boselli, responsabile della liturgia; Lino Breda, segretario della comunità) e una sorella (Antonella Casiraghi, già responsabile generale) di lasciare la comunità entro il 31 maggio, si cerca una via d’uscita.
Ed è lo stesso fondatore con un comunicato ufficiale a intervenire per chiedere una mediazione da Roma: “Invano, a chi ci ha consegnato il decreto abbiamo chiesto che ci fosse permesso di conoscere le prove delle nostre mancanze e di poterci difendere da false accuse“, scrive Bianchi. “In questi due ultimi anni – prosegue il comunicato – durante i quali volutamente sono stato più assente che presente in comunità, soprattutto vivendo nel mio eremo, ho sofferto di non poter più dare il mio legittimo contributo come fondatore. In quanto fondatore, oltre tre anni fa ho dato liberamente le dimissioni da priore, ma comprendo che la mia presenza possa essere stata un problema”. “Mai però ho contestato con parole e fatti l’autorità del legittimo priore, Luciano Manicardi, un mio collaboratore stretto per più di vent’anni, quale maestro dei novizi e vice priore della comunità, che ha condiviso con me in piena comunione decisioni e responsabilità”, si legge ancora nel comunicato. D’altro canto il priore in carica in questi anni ha rinnovato in piena libertà tutte le cariche, destituendo proprio le persone che erano state nominate in passato dal fondatore: segno della massima libertà di esercizio del legittimo potere.
Lo sconcerto resta per il valore del decreto che è una sentenza definitiva e inappellabile. Tra l’altro il Vaticano oltre a chiedere l’allontanamento e la destituzione delle cariche di Bianchi e degli altri fratelli, avrebbe chieste altre revisioni che riguardano la vita della comunità.
Ora Bianchi, che in queste ore è raccolto in silenzio nel suo eremo a Bose, chiede un passo di lato di Roma: “In questa situazione, per me come per tutti, molto dolorosa, chiedo che la Santa Sede ci aiuti e, se abbiamo fatto qualcosa che contrasta la comunione, ci venga detto“. “Da parte nostra – scrive sempre il fondatore – nel pentimento siamo disposti a chiedere e a dare misericordia. Nella sofferenza e nella prova abbiamo altresì chiesto e chiediamo che la comunità sia aiutata in un cammino di riconciliazione“. “Ringrazio dal profondo del cuore i tanti fratelli e sorelle di Bose che in queste ore di grande dolore mi sostengono e le tante persone che mi e ci hanno attestato la loro umana vicinanza e il loro affetto sincero”, conclude Bianchi. Parole che nascondono l’amarezza di tanti fratelli e sorelle della comunità che qualora il fondatore fosse costretto ad andarsene, sembrerebbero pronte a lasciare Bose in piena fedeltà a padre Bianchi.
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