Ricordavo ‘Cico’, ossia un giovanissimo Ezio Bosso, bassista degli Statuto nell’album Vacanza (1988), per aver militato come tastierista ska/reggae per tanti anni e diversi dischi di diverse formazioni.

Ma Ezio Bosso pianista raffinato, emozionante, emozionato, commovente, commosso, forte, sorridente e immenso, io, e come me probabilmente la stragrande maggioranza degli italiani, l’ho scoperto grazie a Carlo Conti mentre guardavo quel Sanremo del 2016. Esibizione dopo la quale, in mezzo a un pullulare di entusiastici commenti, ci fu invece un tweet di Spinoza canzonatorio riguardo la sua pettinatura al quale, con grande ironia, eleganza e gioco, Ezio Bosso rispose: ’Quello perché cerco di pettinarmi da solo’. Confermando così le sensazioni che tutti avevamo avuto, di trovarci di fronte a un grande.

Dopo qualche mese, in aprile, andai al suo concerto all’Auditorium Parco della Musica di Roma, durante il quale, oltre a suonare il pianoforte solo, aveva chiacchierato tanto con noi. Alla fine gli tributammo una meritatissima standing ovation. Lui correva come un matto con la sua carrozzella su e giù per il palco, sorridendo e agitando le sue grandi mani dalle dita lunghe, e si commuoveva facendo commuovere ancora una volta anche noi. I suoi aneddoti e racconti tradivano un acume e uno spirito che rendevano piacevole ascoltare le sue parole tanto quanto la sua musica.

Nelle esecuzioni di Bosso non si sentiva il preludio di Chopin o la composizione di Cage, bensì il grido di resistenza, forza e speranza di un uomo che non aveva voluto arrendersi a ciò che di problematico la vita gli aveva messo in braccio. Le sue qualità erano improvvisamente contagiose, mettiamocele in tasca anche adesso e tiriamole fuori quando siamo giù. Quella sera eravamo in piedi mentre lui non poteva, eppure era in grado di abbracciarci tutti anche così.

E un mese fa, chiuso in casa come noi, solo senza i suoi musicisti che tanto gli mancavano e di cui si preoccupava, a chi gli avevano chiesto di cosa avesse voglia, aveva risposto che il suo desiderio era di poter abbracciare fisicamente gli amici dopo questo periodo di emergenza per il virus. Al riguardo con grande intelligenza aveva affermato, sempre in questa ultima intervista per il Corriere della Sera, che ‘Diventare migliori è una scelta, non una conseguenza, richiede un impegno forte con se stessi. Star chiusi in casa non basta’.

Ancora, gli ho sentito dire, in collegamento con Diego Bianchi nel programma televisivo Propaganda Live il mese scorso, che non c’è un futuro senza vicinanza, senza stare insieme. ‘Quello che stiamo vivendo non è normalità. La normalità non esiste, esiste la natura. E per natura gli uomini hanno bisogno di stare vicini. Il compito della musica, dell’arte, è accompagnare con dolcezza a quella che è la nostra natura’.

Perciò, se la lista delle sue composizioni ed esecuzioni come direttore d’orchestra è infinita, prima di tutto il suo merito risiede nell’averci aperto gli occhi sul valore e significato della vita, come ci ha insegnato con il suo esempio, e della musica. Musica che considerava scambio tra i musicisti e anche con il pubblico, oltre che un servizio socio-culturale, in grado di produrre benessere terapeutico alla società per un mondo migliore.

E ancora, coniugando il suo consueto stile garbato, elegante e colto, tuttavia ugualmente comprensibile a tutti, si era pronunciato riguardo l’opportunità di inserirla nelle scuole a partire dall’infanzia, non solo come approccio ad uno strumento, ma prima di tutto come educazione all’ascolto e alla comprensione. Praticamente una rivoluzione.

Se non conoscete il suo disco di piano solo The 12th room, vi consiglio non solo di ascoltarlo, ma di leggere le sue riflessioni e pensieri che rendono migliori. Ci ha insegnato la filosofia del perdersi per trovare, questo è l’augurio che faceva anche a noi, dopo che lui ha dovuto ‘svegliarsi’ un altro, e ricominciare tutto da capo, uscendo dalla ‘stanza’ e imparando di nuovo tutto quello che la malattia al suo esordio gli aveva sottratto.

Racconta di dodici stanze, riprendendo i frammenti citati da Helena Petrovna Blavatsky nell’opera di teosofia in due volumi La dottrina segreta (The secret doctrine, 1888). Sono le dodici stanze di cui è fatta la vita, quelle in cui lasceremo qualcosa di noi, quelle che ricorderemo quando passeremo nell’ultima. Nelle numerose splendide pagine del libretto del cd scrive a lungo delle stanze come di qualcosa di molto importante, concetto talmente di uso comune nel nostro linguaggio di ogni giorno da non dare nessuna importanza al suo significato.

Dopo quel concerto non sono riuscita più ad ascoltare questo cd e quando il mio compagno ogni tanto lo propone io rispondo che non è il momento. La musica di Bosso è incastonata con emozioni profonde e scure tanto quanto le sue parole sono invece sole, luce, calore, colore. Lo avevamo messo in conto tutti che ci avrebbe lasciato.

Il rischio di averci coinvolto talmente tanto, Ezio, sin da subito, con la tua trasparenza e disarmante sincerità, è che abbiamo anche sofferto sin da quando ti abbiamo conosciuto. Pendevamo dalla tua saggezza, forza, bontà, sentimenti positivi, buoni, necessari. Se questo regalo così grande è servito a saldare un debito con la cultura italiana, dico solo: grazie.

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Ezio Bosso, l’arte e la bellezza l’hanno spinto oltre i limiti. Arrivederci, maestro!

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