Cultura

Lo scaffale dei libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti a tre opere prime (Kochai, Mumcu, Delabroy-Allard)

di Davide Turrini

Passione, sesso e morte. La scrittura a frustate di Pauline Delabroy-Allard con È la storia di Sarah (Rizzoli) non lascia di certo indifferenti. Romanzo piuttosto breve, suddiviso in due parti, a loro volta suddivise in tanti capitoletti numerati che si susseguono con una velocità vorticosa. Un fulmine di nome Sarah, violinista impulsiva, allegra, raggiante, folle, appare una notte di Capodanno a Parigi durante una cena. La narratrice lì presente, insegnante alle prime armi, divorziata con figlia, se ne innamora perdutamente, senza limiti, travolta e ricambiata con furore, sentimento e passione che stordiscono. Passano i mesi, si succedono le stagioni, il flusso continuo emozionale dell’accoppiamento, più che della conoscenza, tocca vette inesplorabili e sublimi, tutto tournée musicali di Sarah, sensazioni che schizzano, sesso improvvisato, continuo, totale. Poi dopo un anno, che è uno sfogliare rapido di pagine per il lettore, ecco la malattia di Sarah. La narratrice si arresta, compie un gesto estremo, fugge, arriva in Italia. Milano, Napoli, Trieste. Lontana dal dolore. Poi si inabissa quasi senza più distinguere l’io narrante dal personaggio specchiato nelle sue parole. Colpisce, anche se con riserve, questo romanzo che si è imposto nel panorama letterario francese nel 2019. L’incipit ispirato e robusto è un amo che si conficca nella curiosità del lettore. La prima parte, che è tutta un sussulto continuo di pulsioni in purezza, dopo qualche decina di pagine mostra un po’ la corda tra reiterata impetuosità emotiva, ostentata raffinata prurigine e ricerca forzata dell’iperbole. E quando sembra che il romanzo s’inabissi in questo incantato loop, ecco il secondo colpo di reni: una sbandata temporanea che rilancia il testo e l’io narrante si rinchiude in un’introspezione autodistruttiva più ispirata, meno programmatica, anche se certi paragoni sanno di una pomposità borghese che pesa come un macigno (“la pioggia ha un odore di ostrica e un sapore di saké”, “sa di cuoio blu notte e desiderio tempestoso”). La classe indubbiamente c’è, ma c’è anche tanto, troppo desiderio di mettersi più in primo piano come autrice che di far arrivare addosso prima di tutto la storia. Voto: 6

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