Non un atto dimostrativo, come si era ipotizzato in un primo momento, ma un semplice errore. La Procura generale egiziana ha fornito la propria versione dei fatti sulla morte di Shady Habash, il regista 22enne deceduto dentro il carcere per prigionieri politici di Tora, dove è recluso anche Patrick George Zaki, nel quale si trovava da più di due anni per un videoclip satirico che prendeva in giro il presidente Abdel Fattah al-Sisi. Una versione, quella dei procuratori, che però rivela, nel migliore dei casi, una sottovalutazione del rischio per la salute del giovane che, a loro dire, avrebbe ingerito per sbaglio una miscela di acqua e alcol disinfettante per le mani, in dotazione alla struttura per prevenire i contagi da coronavirus, segnalandolo al medico del carcere.

Secondo il racconto della Procura, fu proprio Habash a rivelare “al medico della prigione che aveva bevuto per errore una bottiglia di alcol un giorno prima e aveva sostenuto di averla scambiata per una bottiglia d’acqua”. Uno dei dottori del carcere ha riferito che il giorno della sua morte Habash aveva avuto mal di stomaco e vomito. Nonostante i medici fossero quindi a conoscenza del fatto che aveva ingerito dell’alcol, avevano deciso di fargli una semplice iniezione contro il vomito prima di rimandarlo nella sua cella. Secondo il medico, quella stessa notte le condizioni di Habash sono peggiorate e i tentativi di rianimarlo sono falliti.

La Procura ha riferito di aver ricevuto lo scorso primo maggio un rapporto sulla morte di Habash dall’ospedale della prigione, dove i pubblici ministeri hanno esaminato il corpo senza però trovare lesioni che facessero pensare a una tortura subita.

Dall’ufficio del procuratore generale, Hamada al-Sawi, è stato anche riassunto il contenuto di tre interrogatori effettuati ai vicini di cella di Habash. Uno di loro ha detto che il regista aveva raccontato di aver per sbaglio bevuto un sorso di alcol mischiato ad acqua “per ottenere l’effetto di un liquore”, ma ha poi aggiunto che sono stati trovati due contenitori vuoti di alcol nella spazzatura. Altri due prigionieri hanno confermato le sue dichiarazioni, mentre il procuratore generale ha ordinato il completamento dell’indagine e un’autopsia sul corpo del regista.

L’Arab Network for Human Rights Information sostiene che Habash sia morto di “negligenza e mancanza di giustizia“, ma numerose organizzazioni internazionali, in attesa di ulteriori chiarimenti che potrebbero emergere dall’autopsia, tornano a puntare il dito contro le forze di sicurezza egiziane e sulle condizioni di detenzione dei prigionieri politici. Habash, infatti, si trovava in carcere da oltre due anni, limite massimo, secondo la legge egiziana, per la custodia cautelare senza processo. Il tempo era scaduto il 1 marzo, ma il giovane è rimasto nella prigione di Tora fino al giorno della sua morte, il 2 maggio, con rinnovi di carcerazione rinnovati ogni 45 giorni.

Il 22enne era stato arrestato nel 2018 per “adesione a gruppo al bando e divulgazione di notizie false” dopo la pubblicazione di un videoclip, di cui è stato il regista, nel quale si prendeva in giro il presidente al-Sisi definendolo balaha, ossia “dattero”, termine dispregiativo in arabo. La famiglia però, pur reclamando verità sulle cause della sua morte, martedì ha dichiarato di voler respingere ogni uso politico del suo caso.

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