“Gli interventi effettuati presso la casa di Efebo includevano lavori di restauro del triclinio estivo… L’autorità di gestione ha visitato la casa per verificare le spese dichiarate. Il rapporto ha confermato che i lavori erano stati finalizzati.

Tre anni dopo il completamento dei lavori, la struttura è stata danneggiata in diversi punti. Durante un controllo di monitoraggio eseguito dal beneficiario, gli esperti hanno concluso che la struttura è stata minata dall’altissimo numero di visitatori che hanno avuto accesso al triclinio e dall’assenza di protezione su tutti i lati della struttura.

Un dispositivo di protezione in policarbonato è stato finanziato dal progetto del Fesr verificato, ma era stato immagazzinato in un magazzino e non installato. È stato installato all’inizio del 2019 durante i lavori di manutenzione, tre anni dopo il completamento del progetto. Questo errore ha danneggiato l’infrastruttura fisica del triclinio estivo”.

Nel Rapporto speciale sugli Investimenti dell’Ue in siti culturali: un argomento che merita e maggiore attenzione e coordinamento, realizzato dalla Corte dei Conti dell’Unione Europea, c’è anche l’Italia. Eccome, se c’è! Tra i 27 progetti valutati, ce ne sono cinque “nostri”: Villa Campolieto a Ercolano, Palazzo Lanfranchi a Matera, l’ex Convento di Sant’Antonio a Taranto, il Teatro San Carlo di Napoli e la Casa dell’Efebo a Pompei, appunto.

Una delle strutture sulle quali sono stati spalmati i circa 78 milioni di euro dei fondi Fesr impegnati per salvaguardare e promuovere il sito patrimonio mondiale dell’Unesco. Una struttura, la casa dell’Efebo, nella quale gli interventi sono terminati nel 2015. Interventi tutt’altro che ineccepibili, secondo la Relazione. Considerato che compaiono senza possibilità di fraintendimenti come ‘Esempio di mancanza di attenzione data agli aspetti culturali’. I motivi, spiegati nel dettaglio e documentati con tanto di immagini.

Innanzitutto, la ‘assenza di protezione su tutti i lati della struttura’. Nonostante l’esistenza di ‘un dispositivo di protezione in policarbonato’, finanziato e realizzato ma non installato. Almeno fino all’inizio del 2019 nel corso di lavori di manutenzione. Più di tre anni dopo il completamento del progetto. ‘Questo errore ha danneggiato l’infrastruttura fisica del triclinio estivo’, la sentenza. Corroborata da un altro elemento: ‘La struttura è stata minata dall’altissimo numero di visitatori che hanno avuto accesso al triclinio’.

La notizia ha fatto fragore, ovviamente. Pompei non passa inosservata. Nel bene, come nel male. La città antica guest star dell’archeologia italiana è una vetrina, da anni. Per parlare di tutela e valorizzazione, ma anche per fare politica. Non per nulla il ministro Franceschini esibisce la “rinascita” di Pompei appena può. Con la consueta enfasi.

Come non ricordare il messaggio inviato al direttore Massimo Osanna, in occasione della presentazione del suo Pompei. Il tempo ritrovato? Il Parco rappresenta “un modello virtuoso di impiego di risorse europee”, sosteneva il ministro. Non diversamente da Renzi, che più volte ha ricordato il Parco archeologico come esempio positivo dell’azione del suo governo.

Da anni Pompei è sinonimo dunque di “rinascita”, di qualcosa che si è “ritrovato”. Al punto di diventare “simbolo del riscatto del Paese”, come retoricamente ha affermato l’ex Presidente del Consiglio. Eppure voci contrarie, che hanno avanzato dubbi sulla esemplarità della gestione dei diversi interventi nel Parco, ci sono state. Perplessità su alcune operazioni sono state avanzate. Così come alcune scelte.

Come quella di rendere il Parco il luogo nel quale far affluire una moltitudine di turisti. Sempre di più. Quasi 4 milioni nel 2019. Molto spesso con numeri da record, secondo i dati del Mibact. Senza pensare che le grandi concentrazioni, soprattutto se “di regola”, potevano comportare problemi. Ma poi ogni dubbio è stato sopito dalle schiere dei celebranti. Sopito, fino alla Relazione della Corte dei Conti Ue.

L‘Ufficio stampa degli Scavi archeologici di Pompei ha diffuso una nota. Cercando di chiarire. Di giustificare. Se a ragione, lo si capirà nei prossimi giorni.

“Ci preme sottolineare che è agli atti del Parco una nota di osservazioni indirizzata ai referenti della Corte dei Conti Europea incaricati del monitoraggio dell’attività della Commissione Europea anche nel sito di Pompei, inviata il 29 gennaio 2020, in risposta alla loro richiesta di chiarimento.

Nella nota si precisava di non condividere il rilevamento di danni al triclinio della Casa dell’Efebo e si chiariva che la teca in policarbonato a protezione delle pitture ad affresco dello stesso, che nella relazione si asserisce non essere stata collocata nei tempi dovuti con conseguente danneggiamento, non era stata installata al termine dei lavori sulla base di specifiche valutazioni tecniche. La struttura in policarbonato si precisa, inoltre, non rientrava nel progetto realizzato con fondi europei'”.

Intanto “il Parco archeologico ha chiesto di rivalutare le nostre osservazioni, alla luce delle comunicazioni già intercorse, e avviare una formale e pubblica rettifica della relazione sul punto negativo in questione, tenuto conto che le considerazioni e valutazioni tecniche riportate nell’atto pubblicato recano un grave ed ingiustificato danno d’immagine al Parco Archeologico di Pompei e all’Italia”.

In ogni caso rimarrà un’ombra. A prescindere dalla questione specifica, permane il sospetto che un Parco archeologico che sia anche un luogo di ricerca non possa permettersi di continuare ad essere lo spazio nel quale far transitare migliaia di visitatori ogni giorno. Altrimenti la valorizzazione non sarà altro che una somma di record.

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