Ma come si può seriamente palare di “fase due” (intesa come presunta tappa di allontanamento dall’emergenza Coronavirus) quando i nostri morti quotidiani continuano a restare nell’ordine delle centinaia e intere regioni si ritrovano ancora in pieno picco pandemico?

Secondo la mia personale opinione, in tutta questa vicenda il governo – oltre che con una catastrofe ignota quanto inaudita – sta contemporaneamente giocando la difficile partita con le complicazioni indotte dalla ridondanza comunicativa; propria di questa epoca, spinta al parossismo da una mediatizzazione ultra pervasiva. Il coro permanente di commenti, avvelenato da interessi variegati quanto convergenti per molteplici ragioni sull’obiettivo di creare difficoltà al governo.

Giochi di potere o fisime di protagonismo intente alla strumentalizzazione di dati reali: il fatto che – dopo sette settimane in clausura – il tasso di nevrotizzazione dei reclusi ha largamente raggiunto il livello di guardia, mentre legittimi interessi economici premono per riavviare la macchina produttiva.

Psiche turbate e impazienze padronali che – tuttavia – devono essere tenute a bada per la superiore esigenza di contenere il contagio. La prevalenza della vita sulla borsa. Visto che solo Luca Telese può tranquillamente affermare il contrario, che “la borsa È la vita” (e vada a spiegarlo alle migliaia di famiglie tarantine ancora il lutto per qualche loro componente colpito a morte da un’altra pandemia; quella da inquinamento siderurgico).

Da qui la necessità del governo di allestire un gioco, tutto sommato abile, di stop and go, dire e non dire, che indigna i severi commentatori. Personaggi, almeno alcuni, che probabilmente avrebbero qualche problema a gestire un banchetto di frutta e verdura; eppure impancati a professori di teoria organizzativa, reclamando che venga sciorinata su due piedi la pianificazione articolata del rientro alla normalità. Quando siamo nel bel mezzo dell’eccezionalità. Mentre non è realistico pretendere rotte definitive se la complessità impone navigazioni a vista.

Una situazione che offre ai pontificatori in servizio permanente amplia materia da azzannare. Come l’altra serra il buonista mannaro Valter Veltroni, che lasciava trapelare tutta la propria insofferenza per il premier e la sua compagine avvolgendola nello stucchevole zucchero filato del dichiararsi “governativo per necessità” (operazione altamente ipocrita: far aleggiare la minaccia di contestazioni tombali, accantonate soltanto per puro senso di responsabilità). Il tutto – ovviamente – all’insegna del politicamente corretto.

Diverso, ma poi non troppo, l’atteggiamento del filosofo perennemente risentito (e altrettanto deliberatamente stazzonato, come può esserlo uno che si definì “ricco di famiglia”) Massimo Cacciari: dopo aver liquidato con sufficienza l’inesperta compagine governativa, condannata a ricevere schiaffi e torte in faccia nelle trattative europee, ora non riesce a riconoscere che il confronto nel summit Ue di giovedì è andato meglio del previsto. Finalmente l’Italia si è mossa in un quadro di alleanze, ottenendo con il Recovery Fund l’adozione unitaria di principi per l’inversione dello stallo europeo in passato all’indice. Per ottenere ciò Conte ha dovuto alzare la posta, secondo le regole di ogni efficace negoziazione. Ovviamente.

Ma non per l’Alessandro De Angelis, che teorizzava lo scriteriato principio in base al quale per impostare correttamente qualsivoglia trattativa è necessario attestarsi a priori sulla “linea del Piave”; la condizione minima che azzera ogni margine di manovra. Il giovanotto chiama tale suicidio “chiarezza”.

Amici consiglino a un tale petulante sprovveduto di evitare qualsivoglia partecipazione a pur minimi trade-off; riunioni di condomino comprese. A meno che le sue tesi sconfittiste vadano censite come l’ennesimo arrampicarsi sugli specchi per svilire l’odiata formazione rosa-verde.

Intanto continua l’equilibrismo governativo della camminata sul filo. Fino a quando l’esercizio funambolico potrà durare? Dietro il quale – con buona pace delle spocchie dei Veltroni, dei Cacciari e persino dei De Angelis – fanno capolino i volti ghignanti di Meloni e Salvini. Quelli che non si alzano in piedi se si celebra il 25 aprile.

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