L’interruzione forzata delle attività produttive, la trasformazione (necessaria laddove possibile) in smart working dei lavori in sede e la sostanziale riduzione degli spostamenti degli italiani, daranno come effetto un probabile e sensibile abbassamento delle emissioni inquinanti a livello nazionale (si stima tra il 5% e il 7%), almeno per quanto riguarda il primo trimestre 2020. Per l’intero anno, invece, ci si aspetta il 2% di emissioni in meno, rispetto sempre ai livelli raggiunti nel 2019.

Le stime riportate sono del National Inventory Report 2020 e dell’Informative Inventory Report 2020 dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale): nelle relazioni che l’Italia annualmente presenta come Paese aderente alla Convenzione sui cambiamenti climatici dell’Onu, viene evidenziato pure quanto riscontrato negli anni dal 1990 al 2018, ovvero diminuzione dei livelli di gas serra e inquinanti atmosferici.

Una diminuzione che si è fatta progressiva almeno dal 2007 in poi, anno che viene considerato come spartiacque: dal 1990 al 2007, infatti, era stato registrato un aumento del parco auto nazionale e delle distanze percorse nei trasporti, oltre che un consumo di combustibile sempre in salita. Dal 2007 in poi, complice in gran parte anche la dura crisi economica, le emissioni hanno cominciato a decrescere mentre è aumentata la diffusione dei veicoli a bassi consumi; un trend che si è mantenuto almeno fino al 2018, anno durante il quale si è assistito ancora a una riduzione delle distanze percorse, cosa rilevata soprattutto per i veicoli a benzina e quelli per il trasporto merci.

Secondo i dati dell’Ispra, nel 2018 le emissioni di gas serra sono scese al 17,2% rispetto al 1990 e dello 0,9% rispetto all’anno precedente: risultati ottenuti sia grazie alla produzione, in crescita, di energie rinnovabili, sia per via dell’efficienza energetica sempre maggiore che ha riguardato i settori industriali ma anche quello dei trasporti su strada.

Stando sui dati di PM10, il livello di polveri sottili che solitamente dà l’indicazione di quanto l’aria delle città sia “pulita” o meno, dal 1990 al 2018 si è riscontrato un calo del 40%, con le polveri passate da 296 mila tonnellate a 177 mila. A dare la spinta maggiore all’innalzamento di questi valori sarebbero, secondo l’istituto, i riscaldamenti: al 2018, il 54% delle emissioni di PM10 dipendono da questi, mentre i trasporti ne rappresentano appena il 12%, avendo perso circa il 60% rispetto al 1990.

Quanto alle emissioni per le quali si è demonizzato il diesel negli anni, quelle degli ossidi di azoto (NOx), il calo registrato è stato del 69%, ma nel 2018 il 43% di queste emissioni era da ascrivere ancora al trasporto su strada, che comunque dal 1990 ha registrato – per ciò che riguarda i veicoli – una contrazione del 71%; di contro, il riscaldamento ha continuato a pesare sempre di più, arrivando a rappresentare il 13% del totale delle emissioni di ossidi di azoto.

Meno 69% di emissioni anche di monossido di carbonio, solo per i trasporti (-92%) perché quello emesso dal riscaldamento invece è aumentato (+62%, da 795 mila tonnellate a 1,289 milioni).

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