Siamo riusciti a vederlo all’anteprima per la stampa, poi i cinema sono stati chiusi per l’emergenza sanitaria coronavirus. Il drammatico e coraggioso film Cattive Acque denuncia lo scandalo della Dupont, il colosso chimico che ha sciolto nelle acque dell’Ohio e della Virginia il tossico Teflon, uccidendo uomini e bestie.
Tutte le nostre padelle antiaderenti sono ricoperte di questa sostanza chimica, che potenzialmente noi ingeriamo ogni volta che ci facciamo un uovo strapazzato o rosoliamo una salsiccia. Secondo le stime di National Health and Nutrition Examination Survey, il 99% degli americani ha la tossina Teflon in corpo. Già nel 2006 sono stati scoperti i suoi effetti cancerogeni, ma la Dupont ha continuato a produrla. Solo dal 2015 è stato eliminato dalla produzione, per limitare l’inquinamento ambientale. L’intera popolazione globale è esposta alla tossina Teflon. Visto che è utilizzato anche in ambito industriale, aerospaziale e chirurgico per l’applicazione delle protesi.
Intorno a questo ruota il film, un legal-thriller, che ha il rigore di un documentario: è la storia vera di un avvocato societario, Robert Bilott, che, venuto a conoscenza di centinaia di mucche morte per tumore e malformazioni, citerà in tribunale la multinazionale Dupont, ritenendola colpevole di questa tragedia. È la storia di un’ossessione morale.
Billot inizia così una lotta legale lunga quasi vent’anni, una colossale class action nella quale cerca di salvare circa 70mila cittadini a rischio avvelenamento a causa della contaminazione delle acque da parte di Dupont che ha riversato nel fiume l’acido perfluorooctanico. E un fiume di milioni di dollari la multinazionale è condannata a sborsare per risarcire le vittime. Un film di denuncia, educativo, che ci fa tanto arrabbiare: chi ha protetto per decenni gli sporchi interessi della Dupont che ha prodotto Teflon anche per i mercati esteri?
Rimangono a mezz’aria due domande: sapete che anche i tessuti di abbigliamento waterproof contengono Teflon? E proprio come negli utensili antiaderenti, il Teflon (PFC) si trova anche nei prodotti di uso comune per renderli più resistenti o repellenti alle macchie, al grasso, all’acqua. Trovano dunque impiego nei divani, poltrone e altri mobili imbottiti e rivestiti, contenitori per alimenti, sedili per auto, scarpe, moquette. In genere, ogni volta che un tessuto viene etichettato come “impermeabile”, “resistente all’acqua”, o “resistente alle macchie”, con ogni probabilità contiene PFC. Ma tali composti hanno contaminato, e continuano a farlo, esseri umani, animali e ambiente. Sono tra le sostanze chimiche sintetiche più persistenti.
L’agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) ha dichiarato che i PFC, oltre a essere tossici, sono caratterizzati da una grande capacità di persistenza nell’ambiente e di bioaccumulo. La persistenza fa riferimento alla capacità di rimanere negli organismi viventi per lunghi periodi di tempo. Per bioaccumulazione invece si intende che più a lungo un organismo resta nella catena alimentare più crescono le concentrazioni del composto tossico al suo interno.Ultima domanda: come cucinare l’uovo occhio di bue senza intossicarci? Su padelle di ceramica o di acciaio inox. Più versatili, più sicure.
Foto d’archivio
Sostieni ilfattoquotidiano.it: mai come in questo momento abbiamo bisogno di te.
In queste settimane di pandemia noi giornalisti, se facciamo con coscienza il nostro lavoro,
svolgiamo un servizio pubblico. Anche per questo ogni giorno qui a ilfattoquotidiano.it siamo orgogliosi
di offrire gratuitamente a tutti i cittadini centinaia di nuovi contenuti: notizie, approfondimenti esclusivi,
interviste agli esperti, inchieste, video e tanto altro. Tutto questo lavoro però ha un grande costo economico.
La pubblicità, in un periodo in cui l'economia è ferma, offre dei ricavi limitati.
Non in linea con il boom di accessi. Per questo chiedo a chi legge queste righe di sostenerci.
Di darci un contributo minimo, pari al prezzo di un cappuccino alla settimana,
fondamentale per il nostro lavoro.
Diventate utenti sostenitori cliccando qui.
Grazie
Peter Gomez
GRAZIE PER AVER GIÀ LETTO XX ARTICOLI QUESTO MESE.
Ora però siamo noi ad aver bisogno di te.
Perché il nostro lavoro ha un costo.
Noi siamo orgogliosi di poter offrire gratuitamente a tutti i cittadini centinaia di nuovi contenuti ogni giorno.
Ma la pubblicità, in un periodo in cui l'economia è ferma, offre ricavi limitati.
Non in linea con il boom accessi a ilfattoquotidiano.it.
Per questo ti chiedo di sostenerci, con un contributo minimo, pari al prezzo di un cappuccino alla settimana.
Una piccola somma ma fondamentale per il nostro lavoro. Dacci una mano!
Diventa utente sostenitore!
Con riconoscenza
Peter Gomez