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Coronavirus, Istituto superiore di sanità: “Da febbraio 7mila anziani morti nelle strutture italiane esaminate, il 7 per cento dei residenti”

I dat resi noti oggi dall’Iss: sintomi riscontrati in oltre il 40% dei deceduti, ma solo in 1000 casi è stato fatto un tampone
Coronavirus, Istituto superiore di sanità: “Da febbraio 7mila anziani morti nelle strutture italiane esaminate, il 7 per cento dei residenti”
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Tra i 6mila e i 7mila morti dal primo febbraio. E’ questo il bilancio dei decessi registrati nelle residenze per anziani prese in esame in tutta Italia dall’Istituto superiore di sanità, che oggi ha reso noti i dati aggiornati di una situazione che ha raggiunto proporzioni inimmaginabili. Sul totale dei morti, i sintomi sono stati individuati in oltre il 40% dei deceduti, ma “è difficile distinguere fra influenza e Covid-19” ha spiegato Graziano Onder, del Centro cardiovascolare e dell’invecchiamento dell’Iss. I decessi corrispondono a circa il 7% del numero complessivo dei residenti nelle Rsa prese in esame, calcolato in oltre 80mila (280mila il totale in tutta Italia, ma è un numero aggiornato a qualche anno fa). Di questi, la maggior parte si trova nel Nord Italia e solo un migliaio sono risultati positivi al nuovo coronavirus, la maggioranza dei quali in marzo. Fra le criticità finora rilevate nelle Rsa, l’osservatorio dell’Iss indica soprattutto la carenza di dispositivi di protezione, la carenza nelle somministrazioni di tamponi e la carenza di personale.

Ippolito (Spallanzani): “Depotenziamento del pubblico, la sanità è diventata un’industria” – Sulla situazione generale delle case di riposo è da registrare, inoltre, il parere di Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma: “Criminalizzare la situazione delle Residenze sanitarie per anziani è controproducente, perché le Rsa erano come erano, sono state autorizzate dal Servizio Sanitario Nazionale – ha detto ad Agorà su RaiTre – C’è stata sicuramente in passato una corsa che ha visto alcuni avere dei benefici. Ma il tema è che è necessario definire criteri etici per valutarne la qualità, sostenibilità e modello organizzativo. Ne abbiamo viste bellissime – ha aggiunto – di bruttissime e di lager: ci vogliono regole uguali in tutta Italia”. Il problema, per Ippolito, è anche più ampio: “C’è stato negli anni – ha sottolineato – un depotenziamento del pubblico a favore del privato e soprattutto il privato non ha preso quello che serviva di più al paese, ma quello che rendeva. Si è passati – ha concluso – da un modello solidaristico for benefit dei pazienti a un modello for benefit del privato, la sanità è diventata un’industria”.

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