di Giusy Cinquemani

Dall’inizio di questo chiaro interessamento dell’Italia della pandemia di Covid19, ho avuto modo di parlare con molti colleghi psicoanalisti e psicoterapeuti per sapere come si stavano regolando con le persone che seguivano in terapia. In quanto psicoanalisti di gruppo sappiamo cos’è il contagio psichico nei gruppi, sappiamo quanto esso sia veloce, pericoloso e difficile da tenere a bada. Esso sfocia in agiti e si oppone all’essere pensato.

Così come sappiamo che nei gruppi si manifestano e si esprimono le forme più primitive dell’essere. E la forma più primitiva dell’essere psichico è il somatico, il corpo. Il contagio psichico è pericoloso perché sappiamo quanto possa essere pericoloso il contagio dei corpi e non viceversa.

Gli umani sono recenti su questo pianeta, e ancora più recenti sono le strutture, i funzionamenti mentali che oggi ci sembrano così necessari per dire chi siamo: intelligenza, mente, affetti, sentimenti, nonché tutte le realizzazioni che queste ultime evoluzioni umane ci hanno permesso di costruire, le civiltà, il sapere. Tutto è recente e sempre, anche se la nostra arroganza e ottusità ci fa pensare di no, suscettibile di scomparsa.

È difficile da pensare la nostra scomparsa, sia individuale, ma ancor più quella di specie. Parthenope Bion Talamo ha scritto dei lavori molto belli, raccolti in Mappe per l’esplorazione psicoanalitica, sulla difficoltà di pensare il rischio della guerra con armi nucleari, quando questo pericolo sembrava vicino.

Qual è allora il nostro compito di psicoterapeuti nell’immediato, in questa realtà? Sì, realtà, oggetto di difficile definizione, ma col quale non possiamo mai del tutto chiudere. Rispondo con una storiella, che non ha nessuna pretesa di autenticità e che credo nasca da piccole dispute fra correnti psicoanalitiche diverse.

Questa storiella racconta che durante la seconda guerra mondiale, Melanie Klein, Donald Winnicott e Wilfred Bion, continuassero la loro attività di psicoanalisti nei loro studi di Londra. Succedeva talvolta che ci fossero dei bombardamenti e la città veniva avvisata dall’allarme antiaereo. Si racconta che in una di queste occasioni, al paziente che diceva di avere sentito l’allarme antiaereo, la Klein abbia interpretato quell’allarme come proveniente dal mondo interno del paziente, che Winnicott, alla stessa comunicazione, esprimesse la necessità di trovare un’area intermedia, magari una trave robusta, dove mettersi e, infine, che Bion abbia detto al paziente: “Ha sentito? È l’allarme antiaereo. Scendiamo nel rifugio.”

Come ogni altro essere umano, anche gli psicoanalisti affrontano i pericoli e la paura conseguente con il bagaglio di risorse umane e teoriche che hanno, facendo del loro meglio ma sapendo che quello che vediamo è sempre parziale.

@GiuCinque

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