Stamattina la luce della primavera che trafigge il vetro, pizzica. Eppure già da giorni sbatteva contro la mia indifferenza. Ma oggi pizzica.

Sono bastate poche, microscopiche, irreali ore a ravvivare i colori di ciò che ho visto mille volte e guardato mai. E non è solo questione di occhi, come se finalmente li stropicciassimo dopo una pennichella di qualche minuto durata mesi. L’isolamento di questi giorni ci ha liberato anche il naso: la sentite la voglia di profumi qui su, nell’intercapedine delle narici? E le gambe pigre, ora improvvisamente irrequiete.

L’orrendo cinema in cui siamo piombati dal lato sbagliato della sala, schiacciati sulla pellicola, ci farà bene. Oggi paura, ma domani bene. Come quei film che ti rapiscono, ti masticano e poi, dopo averti sputato via, ti ispirano. O come certi libri, ancora meglio. Noi saremo più vivi; magari con qualche chilo in più, ma profondamente più vivi. E sicuramente più innamorati. Di quell’amore gigantesco che ci pervade anche quando non ne avvertiamo il peso.

E poi saremo un po’ più popolo. Gli italiani sono campanili: ciascuno dritto, individualista, a guardarsi intorno dall’alto. Ma in questi giorni abbiamo riscoperto tutt’altra architettura: comunque alta – non c’è virus che possa abbassarci di un centimetro – pur sempre ariosa, ma comune. Ci siamo scoperti balconi perché sui balconi ci siamo scoperti. Niente trucco, né ritocchi, nessuna vergogna: in pantofole abbiamo trovato un palpito che qualunque non è, perché è il nostro. Un popolo che ha orgoglio non può essere vinto.

Quando questo finirà saremo più coscienziosi della nostra salute, avremo quella confidenza sempre rimandata col nostro vicino, saremo più rispettosi della bellezza che ci bacia e di una natura che ha trovato lei il modo di stroncare le emissioni con cui l’abbiamo noi infettata.

Quando tutto questo sarà finito non avremo più voglia di lamentarci o di litigare ma cercheremo parole piane, vorremo fare regali. Saremo grati, prima di tornare a essere assuefatti.

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