Fino al 5 marzo in Italia le persone affette da Sars Cov2 decedute sono state 148. Un numero che fa paura, ma nessuno ad oggi può affermare che siano tutte vittime del Coronavirus. Perché nella maggior parte dei casi queste persone soffrivano di altre patologie. Quanto ha inciso Covid 2019 sulla loro morte? È stata una concausa o è stato il fattore determinante che li ha portati alla morte? Si sarebbero potuti salvare se, a queste patologie, non si fosse aggiunto anche il virus che sta terrorizzando il mondo? A queste domande cercano di rispondere in queste ore medici, infettivologi, studiosi che stanno analizzando numeri, cartelle cliniche di centinaia di pazienti e statistiche. “Difficile riuscire a capire ad oggi, soprattutto nei casi in cui vi sono malattie pregresse, se il Covid 2019 sia stato davvero la principale causa di quei decessi” spiega a ilfattoquotidiano.it Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità. Secondo il professore “per rispondere a queste domande dovremmo intanto aspettare gli esiti di tutte le autopsie” ma non sarà comunque facile”, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi “concorrono diversi fattori, in primis le patologie preesistenti”. Ciò che si può fare, dunque, almeno per il momento, è tracciare un identikit delle persone più a rischio, basato sull’età, sul sesso e proprio sulle malattie delle persone finora decedute.

DECESSI ANCHE A 50 ANNI O SENZA PATOLOGIE PREGRESSE – Ed è quello che ha cercato di fare l’Istituto Superiore di Sanità, pubblicando un’analisi condotta sui dati di 105 pazienti italiani deceduti fino al 4 marzo, che rileva come ci siano 20 anni di differenza tra la loro età media e quella dei pazienti positivi al virus. Lo studio offre diversi spunti di riflessione, ma che – ancora una volta – ci dà l’idea di come sia difficile trovare risposta nei numeri e nelle statistiche. L’età media dei pazienti deceduti e positivi, infatti, è di 81 anni, sono in maggioranza uomini e in più di due terzi dei casi hanno tre o più patologie preesistenti. Lo studio riguarda 73 pazienti morti in Lombardia, 21 in Emilia-Romagna, 7 in Veneto e 3 nelle Marche. Secondo l’analisi, la maggior parte dei decessi (42.2%) si è avuta nella fascia di età tra 80 e 89 anni, mentre il 32.4% erano tra i 70 e i 79, l’8.4% tra 60 e 69 anni, il 2.8% tra i 50 e i 59 e il 14.1% sopra i 90 anni. Dunque si muore, anche se meno, anche nella fascia che definiremmo di mezza età.

IL CONTAGIO E I PIÙ GIOVANI – Questo non esclude, però, dal contagio i più giovani, come ha spiegato nei giorni scorsi Attilio Galmozzi, assessore comunale all’Istruzione e al Lavoro e medico presso l’ospedale di Crema, definito dall’assessore regionale Gallera “centro specializzato per il Coronavirus” (https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/03/04/crema-non-puo-essere-il-lazzaretto-della-lombardia/5724796/). L’assessore spiegava che quest’anno c’è stato un picco di polmoniti tra in giovani e ce ne sono diversi, in ottima salute, che si ritrovano con problemi respiratori molto seri, solitamente riscontrabili “nel paziente molto anziano, in chi soffre di bronchite cronica, nel paziente oncologico che fa chemioterapia e ha un sistema immunitario compromesso”. Tornando al bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità, dall’analisi risulta che le donne decedute dopo aver contratto infezione da COVID-2019 sono 28 e rappresentano il 26,7% del totale. Hanno un’età più alta rispetto agli uomini, ossia si parla di 83,4 anni di media, contro i 79,9 anni degli uomini.

LE PATOLOGIE PREESISTENTI – Il numero medio di patologie osservate tra le persone decedute (e che avevano contratto il Coronavirus) è di 3,4. Complessivamente, l’15.5% delle persone decedute presentava o nessuna o una sola patologia, il 18.3% soffriva di due patologie e il 67.2% presentava tre o anche più patologie. Più aumenta la percentuale dei decessi, più è difficile comprendere, dunque, il peso specifico del Coronavirus nella morte del paziente. Meno complessa la deduzione nei pazienti che non presentano patologie, ossia meno di quel 15.5% rilevato dall’Istituto, al netto di un eventuale numero di pazienti senza alcuna patologia, ma molto avanti con l’età e per i quali evidentemente anche una banale influenza, figuriamoci il Coronavirus, può risultare fatale. Il bollettino dell’Istituto superiore di Sanità offre, inoltre, un altro spunto di riflessione. Il 74,6% delle persone che hanno perso la vita nelle ultime settimane e che sono state trovate positive ai tamponi soffriva di ipertensione, seguita dalla cardiopatia ischemica (presente nel 70,4% dei casi) e dal diabete mellito (presente nel 33,8% dei pazienti). Il tempo medio dall’insorgenza dei sintomi al ricovero in ospedale è stato di 5 giorni, mentre il tempo trascorso tra il ricovero e il decesso è stato di 4 giorni. “Anche se preliminari, questi dati confermano le osservazioni fatte fino a questo momento nel resto del mondo sulle caratteristiche principali dei pazienti – ha commentato il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro -, in particolare sul fatto che gli anziani e le persone con patologie preesistenti sono più a rischio. Si tratta di persone molto fragili, che spesso vivono a stretto contatto e che dobbiamo proteggere il più possibile”.

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