In queste settimane in cui non si sente parlare d’altro che dell’infezione da coronavirus, altre importanti notizie rischiano purtroppo di passare in second’ordine. Fra queste vorrei segnalare quella che riguarda la costituzione dell’Alleanza europea di ricerca per un’agricoltura senza pesticidi che è stata formalizzata il 23 febbraio a Parigi presso il Salone Internazionale dell’Agricoltura, alla presenza dei ministri francesi dell’Agricoltura e della Ricerca.

L’Alleanza include al momento 24 istituzioni di ricerca di 16 Paesi Europei che hanno accolto l’impegnativa sfida di produrre cibo senza l’utilizzo di pesticidi; per l’Italia hanno sottoscritto l’Alma Mater Studiorum dell’Università di Bologna, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. I ricercatori e gli scienziati di queste istituzioni hanno quindi accolto la domanda sempre più pressante che viene dai consumatori, dalla società civile e dagli stessi addetti del settore che sollecitano l’attuazione di un modello agricolo radicalmente diverso rispetto a quello in essere e finalmente rispettoso della salute umana e dell’ambiente.

La sfida non è certo né semplice né banale: si tratta infatti di un progetto ambizioso che richiede investimenti e ricerche per un’agricoltura senza pesticidi chimici in tutto il continente europeo!

Ma per raggiungere l’obiettivo è necessario anche un cambiamento profondo di quella mentalità che ci ha fatto illudere di poter preservare la nostra salute e la nostra vita uccidendo quella intorno a noi a cominciare da quella presente sotto i nostri piedi, nel suolo. Non dimentichiamo infatti che i pesticidi sono molecole progettate per alterare o distruggere forme di vita ritenute dannose per le colture (insetti, batteri, funghi, virus, erbe infestanti etc.), ma che, una volta distribuiti volontariamente nell’ambiente, solo in minima parte vanno sul bersaglio ed il cui destino nelle varie matrici ambientali non è più né prevedibile né controllabile.

I quasi 100 kg/ettaro di fertilizzanti e pesticidi distribuiti ogni anno nel nostro paese stanno minando la fertilità dei suoli italiani che per l’80% sono in via di desertificazione, avendo un tenore di Carbonio Organico (CO indice di fertilità) inferiore al 2%, ma alterano anche la biodiversità, a cominciare dalla perdita di insetti impollinatori e la qualità delle acque superficiali e profonde, sempre più contaminate da pesticidi e dai loro metaboliti. Per non parlare dei rischi per la salute anche per le persone residenti in prossimità di aree agricole intensamente coltivate e documentati ormai da una vasta mole di studi epidemiologici.

Ci siamo stupidamente illusi di poter vivere avulsi da ciò che ci circonda, dimenticando che noi viviamo in stretta simbiosi con l’ambiente circostante e che il “trait d’union” è rappresentato dal microbiota – l’immenso ed ancora per buona parte sconosciuto universo di microbi e batteri che albergano dentro di noi – e che presiede al corretto funzionamento del nostro cervello, del nostro metabolismo e del nostro sistema immunitario.

Il microbiota è tuttavia anche primo bersaglio degli inquinanti ambientali e le alterazioni che ne conseguono sono in grado di innescare quei meccanismi che sono alla base dell’insorgenza di tante nostre patologie. Sempre più la comunità scientifica riconosce che è proprio nella ricchezza, varietà e diversità del microbiota la radice della nostra salute e, viceversa, a sue specifiche alterazioni (disbiosi), risultano correlate patologie quali autismo, depressione e malattie cronico degenerative, quali obesità, cancro, diabete.

Fra il nostro microbiota e quello presente a livello aereo, marino e terrestre esiste un flusso continuo di informazioni e di scambi che sono al massimo livello con il suolo, le piante, le loro radici ed i loro frutti, sistemi a loro volta da noi influenzati attraverso i processi di decomposizione dei nostri scarti e dei nostri escrementi. Tutta questa silenziosa e vitale comunicazione che si è perfezionata nel corso dell’evoluzione è però oggi gravemente compromessa dalle attività umane, in particolare dall’agricoltura basata sulla chimica.

Se vogliamo recuperare vita e salute dobbiamo ripartire proprio dal modello agricolo, abbandonando l’utilizzo della chimica ed adottando i principi dell’Agroecologia. Questa sfida deve essere vinta perché ne va della nostra stessa sopravvivenza e l’Alleanza europea di ricerca per un’agricoltura senza pesticidi rappresenta certamente un passo importante nella giusta direzione.

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