“Visto che in sala ci sono importanti autorità, chiedo: dove sono finiti gli originali della lettera di Aldo Moro a Taviani? Perché non si trovano?”: è lo storico Miguel Gotor a rompere il clima solenne e istituzionale della presentazione di un lavoro importantissimo, la nuova edizione critica del Memoriale di Aldo Moro, pubblicato dalla direzione generale Archivi del ministero dei Beni culturali e dall’archivio di Stato di Roma, grazie al lavoro durato cinque anni di un gruppo di studiosi coordinati da Michele Di Sivo, vicedirettore dell’Archivio di Stato di Roma, esperto di fonti giudiziarie.

Nel gruppo ci sono personalità e professionisti di altissimo livello: gli storici Francesco Biscione e, appunto, Miguel Gotor, l’ex senatore Sergio Flamigni, Ilaria Moroni, direttrice dell’archivio Flamigni che conserva le carte personali dell’uomo politico, la grafologa Antonella Padova, l’archivista Stefano Twardzik: grandi competenze e passione civile – “la memoria è impegno civile”, sottolinea Di Sivo – studio meticoloso del dettaglio, contestualizzazione di un testo che non solo continua a darci emozioni – per come è scritto, per il luogo, o i luoghi da cui viene scritto, per l’intensità del politico e umanista Aldo Moro – ma anche ad interrogarci prepotentemente su quel crocevia fondamentale della nostra storia che fu il sequestro del presidente della Dc e sul significato della scomparsa dalla scena italiana dell’uomo che esprimeva la cultura e il senso del patto costituente anti-fascista.

Il cosiddetto Memoriale di Moro fu scoperto in due tappe successive: una prima parte in forma dattiloscritta e parziale nell’ottobre 1978, nel covo milanese delle Br di via Montenevoso, poi, dodici anni dopo, nel 1990, il resto, 419 fogli saltati fuori da un’intercapedine dello stesso appartamento in forma autografa ma fotocopiata: materiale non visto dagli uomini del generale dalla Chiesa e poi da quelli del gruppo della Pastrengo di Milano che subentrarono nel lavoro di classificazione del succulento ritrovamento qualche giorno dopo: un percorso travagliato e oscuro che esprime la metafora della tragedia del potere che travolse l’uomo politico democristiano e, non metaforicamente, tutta l’Italia.

Quelle carte, scritte in uno terribile stato di segregazione, hanno ancora oggi, anche a causa del silenzio dei protagonisti di quei momenti, un’enorme potenza di espressione perché, dice Moro, “anche nella necessità si può essere liberi”: e lui si prese la libertà di dire ma sapendo di dover subire le censure dei suoi sequestratori e quella dei suoi tanti amici-nemici all’esterno: una partita difficile che lui giocò con maestria ma in completa solitudine, e che, dunque, perse.

Il Memoriale può svelare i segreti del caso Moro? Il lavoro della squadra di Di Sivo dà continuità agli scritti, li ricompone, offre importanti informazioni sulla postura del suo autore, capta la sua voce profonda e persa nel buio. Ma, se non si restituisce la verità dei fatti, è impresa ardua trovarla lì, dove pure c’è in grande quantità materia grezza che Moro ci offre lucidamente come il suo contributo alla comprensione di quel che sta avvenendo.

Si prenda quello scritto su Taviani del quale ha parlato Gotor: si tratta degli unici otto fogli del Memoriale diffusi durante i 55 giorni, arrivati nelle mani del figlio Giovanni in forma autografa ma poi mai più ritrovati. Perché? Chi ha voluto sottrarli all’opinione pubblica? Eppure quel testo è una fonte inesauribile, lì il prigioniero, parlando dello “smemorato Taviani”, dell’uomo di Gladio, snocciola tante di quelle informazioni che sarebbe bello poterle ‘spremere’ per far venire fuori la risposta alla sua stessa domanda: “Vi è forse, nel tener duro contro di me, un’indicazione americana e tedesca?”.

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