Cultura

Lo Scaffale dei libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti da Tracy Chevalier al folgorante esordio di Jane O’Connor. Spoiler: donne tu du du, in cerca di guai…

di Davide Turrini

Acidissima Sylvia Penton. La creatura letteraria inventata da Jane O’Connor è un meraviglioso concentrato di astio verso il prossimo e di autodifesa dalle banalità sociali del mondo che merita solo applausi e (ri)letture. A Sylvia Penton esce dal letargo (Corbaccio) noi ci siamo avviluppati come l’edera. Il target, lo sappiamo già, è quello dichiaratamente commerciale, ma c’è modo è modo di stare bassi quando si lavora su parola e racconto. Sylvia vive da sola in un piccolo appartamento londinese, è segretaria personale di un professore universitario, si apprende di sfuggita che è sui cinquant’anni, mentre si sa fin dalle prime righe che ha un’infatuazione cieca proprio per il suo principale che chiama Prof. Un sentimento totalizzante a cui si dedica non con fare sognante da sdilinquita Bridget Jones ma con una consapevole furia alla Lisbeth Salander. E visto che Prof prima di far finta che Sylvia non esista, e sbavare per i seni della bionda ricercatrice di turno, non ha perso l’occasione di andarci ripetutamente a letto, la collera della protagonista si manifesterà con folle vigore riproducendosi perfino oltremanica. Sylvia è quella che in molti chiamerebbero una “zitellona”, quando invece, evitando cliché sbrodolanti, la O’Connor dipinge come un’autonoma e indipendente eroina contemporanea. Nessuna battaglia femminista, Sylvia è una single consapevole e decisa che ha avuto le sue relazioni sia volute che inaspettate, ed il suo essere chiusa e riservata, infastidita da tutto ciò che non sente come necessario (il durissimo e naturale rifiuto dei complimenti forzati per neonati e nipotini è da premio) la rende una figura smaccatamente anticonformista a livello letterario, umano e perfino politico. La scrittura, poi, è imbevuta di una gradevolissima pastosità tra intimità del singolo e contesto ambientale circostante da lucidarsi le lenti degli occhiali. Anche perché O’Connor ha la prepotente capacità di narrare, attraverso una naturale prosa in prima persona, quegli eventi appena passati della protagonista, quei rimossi che affiorano lievemente, con dense pennellate descrittive, senza ricorrere a quell’oramai dannata scorciatoia esplicativa del dialogo a pioggia. Insomma, maschi e femmine accorrete. Sylvia è tutti noi. E il riccio in copertina? Beh, se vi raccontassimo che Sylvia fa volontariato per quei piccoli animaletti indifesi, in una casupola di periferia con un vecchietto bonario e solitario che li accudisce, vi ammazzeremmo il piacere di una sorprendente lettura. Voto: 8

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