“Belìn, è rischioso? Lo sconsigliano tutti? Allora lo faccio”. La testimonianza è di Franz Di Cioccio, che racconta la reazione di Fabrizio De Andrè alla proposta di dare vita al legame artistico tra lui e la Pfm. Un sodalizio inizialmente osteggiato dall’entourage del cantautore genovese che lo sconsigliò in questo senso ma, come aggiunge Dori Ghezzi, “tutto quello che era rischioso o improbabile, per lui andava bene”.

Arriva nelle sale italiane per tre giorni, il 17/18/19 febbraio, Fabrizio De Andrè e Pfm – Il concerto ritrovato, regia di Walter Veltroni. Un documento storico musicale tornato alla luce grazie alla testardaggine di Franz Di Cioccio, che venne a sapere alcuni anni fa di immagini girate dal documentarista Piero Frattari nel concerto del 3 gennaio 1979 a Genova. Immagini raccolte in alcune cassette destinate al macero. Fabrizio, che non gradiva fossero filmati i suoi concerti, in quella occasione diede il suo consenso, a patto che gli operatori delle riprese si rendessero invisibili. Nello stesso anno fu registrato un disco dei concerti di Bologna e Firenze che molti di noi conservano come una reliquia. Quel 33 giri in vinile è tutto quello che si credeva fosse rimasto a raccontare quel tour.

Superata la diffidenza iniziale, il progetto De Andrè-Pfm andò in porto e ottenne grande successo: l’incontro di due diversità musicali fu come la demolizione di un recinto. Si seppe trovare un mix tra differenti armonie e una contaminazione musicale reciproca. Nella parte iniziale del film assistiamo ai dialoghi tra Dori Ghezzi e i componenti della Pfm, in primis Franz Di Cioccio, Patrick Djivas, Franco Mussida e Flavio Premoli. I loro racconti e aneddoti ci riportano indietro negli anni, in quel preciso periodo storico, quello della contestazione ai cantautori accusati di essersi imborghesiti, critica che fu rivolta anche a Fabrizio.

Eppure quel concerto non fu sfiorato da questi problemi. Il clima era sereno: si avverte una freschezza musicale, una allegria giocosa, tutti sono a loro agio e Fabrizio è molto rilassato. Gli affreschi sonori della Pfm introducevano per alcuni minuti i brani in scaletta, lasciando tutti in sospeso nel cercare di indovinare a quale canzone appartenessero. Il film scorre, come il trenino in viaggio verso Genova che ospita a bordo i protagonisti di quei momenti. Si susseguono ricordi, aneddoti. Ad esempio quella volta a Siena che Fabrizio scivolò dalla sedia davanti al leggio per afferrare la bottiglia ai suoi piedi (di acqua, precisa Dori nel ricordare quell’episodio). Ci sono poi le foto di Guido Harari, che seguiva i concerti e catturava immagini oggi consegnate alla memoria collettiva. Gli scazzi e le tensioni tra la band e Fabrizio, che non aveva un carattere facile soprattutto quando era concentrato nelle sere dello spettacolo. Si trattava però di piccoli litigi irrisori, quasi fisiologici, che venivano risolti dopo pochi minuti.

E’ stato un lavoro meticoloso quello di far tornare in vita quelle cassette. Grazie soprattutto alla pulizia dell’audio a cura di Paolo Piccardo e Walter Cazzaniga e completato dal prodigioso restauro di Matteo Richetti. Insomma un documento imperdibile , non solo per i fan di Faber ma per tutti coloro che vogliono ricordare un pezzo della storia musicale indimenticabile. Spesso durante le canzoni scorre la grafia originale di Fabrizio, quasi a voler dare più pregnanza e autenticità al documento – in realtà è un raffinato stratagemma per coprire le immagini meno nitide del concerto. E c’è pure un telefonino, seppellito davanti alla casa di Tempio Pausania in Gallura, ma del quale non vi voglio svelare nulla.

Cosa ci manca di Fabrizio oggi? Alla domanda risponde Franco Mussida. Il suo lascito intellettuale è racchiuso in una frase diventata molto popolare: “Dai diamanti non nasce niente , dal letame nascono i fior”. Forse è sufficiente questo verso di Via del campo per ringraziarlo ancora una volta.

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