Baci e commozione. Non è Sanremo senza una lacrima sul viso. Hanno pianto tutti, nonna, nipote, mamma, figlia. Anche uno sfiatato Tiziano Ferro si commuove quando ripropone l’inimitabile Almeno tu nell’universo di Mia Martini. O, forse, piange perché ha steccato un paio di volte.

Un Sanremo a responsabilità limitata. Una patata bollente che si sono passati tra le mani i candidati/conduttori: “Lo vuoi tu? No, pigliatelo tu…” Fiorello non vuole troppo metterci la faccia e accetta di fare il “valletto” di Amadeus, il suo ruolo: né avanti, né dietro, ma al suo fianco. Con il rischio di rubargli la scena? Questo si sapeva già e infatti, al netto dei blocchi pubblicitari che il quizzarolo Amadeus è abituato a presentare, prende i connotati più di un Fiorello Show. Se Sanremo andrà bene sarà anche merito suo, se andrà male non è colpa sua.

Il siparietto di Diletta Leotta (vestita Etro) è rivolto alla nonna seduta, un po’ assonnata, in prima fila: “Grazie a te sono diventata quella che sono”. Ad esempio cosa? Non l’abbiamo capito. Altro siparietto di femminismo pop è il monologo di Rula Jebreal, giornalista palestinese, forzatamente didattica: sale in cattedra (che poi è il podio di Sanremo, non dimentichiamocelo) a favore delle vittime di violenze sessuali: “Domani commentate pure com’era vestita Rula (Giorgio Armani, per la cronaca) ma non chiedete a una donna vittima di uno stupro come era vestita quel giorno…” .

Chi non si vede Sanremo in condivisione? Io sono con Roselina Salemi, ex direttrice di giornali femminili (quando si vendevano come caramelle), esploratrice di tendenze e soprattutto scrittrice di un bellissimo libro di denuncia, Il mio nome è Marina (Rizzoli). Tanto per cominciare lo paragona al film di Gabriele Muccino: “Gli anni più belli (quattro amici nell’arco di quarant’anni), questa prima serata di un Sanremo nostalgico-celebrativo è stata una macchina del tempo. Ero bambina e Romina e Albano c’erano. Ero bambina e i Ricchi e Poveri (sul palco stasera) c’erano. Ero bambina e Rita Pavone cantava Il ballo del mattone. Rieccoli, tutti, mixati a rapper-trapper, vecchie glorie e giovani scalpitanti usciti dai talent”.

Con Amadeus (senza infamia) che non ha fatto che scandire le date: “Rita Pavone torna dopo 47 anni!”. Ed è andata subito. “Albano e Romina con un inedito dopo 25 anni!”. Lei scintillante vestita da Luisa Beccaria ondeggiava morbida come 25 anni fa. “Marco Masini, trent’anni di carriera è qui!”. “Mancava soltanto Iva Zanicchi che ha appena compiuto 80 anni: come mai non ci hanno pensato?”, la butta lì Rose.

Uno spettacolo inutilmente lungo (giustificato dalla pubblicità) dove l’extra gara si è mangiato la gara. “Tra Fiorello vestito da don Matteo, il politicamente corretto di Rula Jebreal con il suo manifesto femminista e Gessica Notaro, che canta (bene) con l’occhio bendato con paillettes (mancava Greta e il climate change, ma ci sono altre serate), effettivamente è stato il Festival degli ‘altri’, quelli che non erano in gara”, fa notare Rose.

In platea, seduti, in piedi, riseduti, in piedi. Una standing ovation non si nega a nessuno: per Ci sarà (Albano e Romina), per Tiziano Ferro, urletti per Emma, per il cast del film di Muccino, appunto, che canta Baglioni. E’ passata la mezzanotte. Sta per chiudere la kermesse? Macché: Amadeus, che cambia giacca, informa che è sola finita la prima parte. E prendete i suggerimenti (gratis) di Roselina: “Tagliate qualcosa, per favore, tipo il monologo di Diletta Leotta sulla bellezza e sull’invecchiare, con il ringraziamento alla nonna in prima fila roba che neanche a C’è posta per te. Pippo Baudo un tempo veniva indicato (con punta di disprezzo) come il sacerdote della tv nazional-popolare. Eppure aveva ospiti stranieri pazzeschi. Oggi è tutto stra-nazional-popolare, quasi vintage”.

Pagina Facebook di Januaria Piromallo

Vignetta di Guido Ciompi

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