Questa potrebbe essere la storia di un videoclip e della voce potentissima che contiene, dell’energia che esplode quasi a sorpresa, dentro un crescendo insospettabile. Educa a risorgere, dall’inedia dello spirito, da quel tedio civile che oggi potremmo definire pavidità sazia e borghese. Il videoclip è “Messina, guerra e amore”, il brano musicale omonimo è del rocker siciliano Luciano Panama, voce, basso e chitarra, che del videoclip firma anche la regia e il montaggio; al violino invece c’è Giovanni Alibrandi.

Scopro questo artista per caso, mi suggerisce l’ascolto la mia amica blogger, Anna Maria Domenella. L’onda detona, arriva impetuosa, il brano si avvale di un testo ragguardevolissimo (Luciano Panama è un lettore di poeti come Franco Arminio), arriva simile a un boato e alla fine dell’insospettabile crescendo.

Quindi mi concentrerei sulla straordinarietà di certi testi cantati e suonati, con pochi accorgimenti, in grado di elevarsi, distinguersi. L’album a cui appartiene la canzone è “Piramidi”.

Il rocker ha appena finito un tour di concerti che traducono una specie di aristocratica retrovia, giacché spesso al grande pubblico viene riservato un prodotto minore o perlomeno parziale rispetto alla scena musicale tout court che è ampia, colta e purtroppo non conosciuta nella sua interezza. Discorso estensibile in ogni caso a tutte le arti.

L’idea del cantautore siciliano – originario di Messina, medico a Milano, lui precisa “anche, medico” – è in fondo quella che attiene alla nostalgia, al bisogno di tornare nella propria città, come a una seconda famiglia, il nerbo da cui attingere, malgrado la stanchezza e l’impervia storia di un luogo simbolo come Messina appunto, il brano è ovviamente dedicato ad essa.

Bellezza e oscurantismo, antichi cappi e perenni fulgori, orizzonti, azzurri luminosi, palme, agavi e una mestizia che racconta una vicenda simile al Sud del mondo, a ogni periferia del mondo. Tanto riferisce il testo, e persino in un sottotesto dove sono frequenti le suggestioni, concentrate in qualche minuto ma sufficienti a rendere quella forza, quella potenza di cui si accennava.

“Volevo che il videoclip venisse fuori esattamente come l’avevo immaginato mentre scrivevo il brano – spiega Luciano Panama. Avevo già in mente quelle immagini: una persona che gira, si perde, si abbandona nella sua città e trova un modo non per sopravviverci ma per viverci”.

È ammirevole lo slancio e la fede del cantautore in una possibilità vera, siciliana e rivoluzionaria. Credere malgrado il Sud, la storia incagliata a volte in manifesti fasulli, a volte in fatti di cronaca, una storia che conosciamo, su cui abbiamo perfezionato una capacità di resistenza superiore forse, difficilissima da raccontare nella complessità. “Messina, guerra e amore” è stato definito un brano poetico, elegante, chiaroscurale. Mi sento di poterlo confermare.

Articolo Precedente

Sanremo, la trasgressione non si combatte con la censura ma con la riflessione (vedi alla voce Junior Cally)

next
Articolo Successivo

Il sessismo in musica esiste e la qualità ne risente. Ecco cinque luoghi comuni da sfatare

next