di Riccardo Cristiano*

Mentre l’attenzione di tutto il mondo era concentrata sul Medio Oriente, Vladimir Putin è andato a Damasco, ma pochi lo hanno sottolineato. Effettivamente l’evento potrebbe apparire non straordinario: il presidente russo si era già recato a celebrare il Natale, secondo il calendario giuliano, con le truppe di stanza in Siria. Dunque in questo 2020 ha solo ripetuto quanto compiuto già nel 2017.

È interessante però notare che il leader del Cremlino in questa circostanza è voluto transitare attraverso la capitale siriana, Damasco, ma senza fermarsi, neanche per un salto, al palazzo presidenziale. Ha incontrato Bashar al Assad, certamente, ma in una base militare russa dove ha ritenuto di riceverlo, da vero padrone di casa. Durante il colloquio, ha fatto sapere il Cremlino, si è parlato delle operazioni militari nel nord, a Idlib, dove la linea di entrambi riguarda l’eliminazione dei terroristi.

Nessun riferimento è stato fatto alla popolazione civile, tre milioni di persone, molte delle quali hanno dato vita nei mesi trascorsi a numerosi episodi di contestazione aperta e prolungata dei gruppi jihadisti. Chissà se la rimozione di questo elemento oggettivo ha determinato la scelta della frase del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ripresa da Interfax: “il presidente Putin ha constatato che i segni di come la pace sia progredita e ristabilita si possono vedere a occhio nudo.”

La data della visita di Putin in Siria è certamente legata al calendario, al Natale ortodosso, ma il mancato riferimento a quanto proprio in quelle ore accadeva nei cieli iracheni non sembra indicare una totale vicinanza all’alleato iraniano, che con l’operazione “Soleimani martire” era proprio in quelle ore molto impegnato.

Questo Natale, a partire dai giorni in cui lo si celebra seguendo il calendario gregoriano per arrivare a quello in cui lo si celebra secondo il calendario giuliano, è stato molto importante. È infatti del 26 dicembre scorso un comunicato della Patriarcato ortodosso russo molto significativo, intitolato “il Santo sinodo della Chiesa russa esprime il suo rammarico sulla decisione, che contrasta con il diritto canonico, del Patriarca Theotokos di Alessandria di entrare in comunione con gli scismatici”.

Per Mosca gli scismatici sono gli aderenti alla Chiesa ortodossa in Ucraina, riconosciuta oramai da tempo dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, decisione che è stata recentemente condivisa anche dalla Chiesa ortodossa greca. Gli ortodossi ucraini erano inseriti nel patriarcato di Mosca, il cui nome come è noto comprende anche la dicitura “e di tutte le Russie”. La prima decisione annunciata da Mosca ricalca quella già presa nei confronti di Atene e Costantinopoli: congelamento delle relazioni bilaterali, sospensione di ogni attività negli uffici patriarcali alessandrini nella capitale russa.

Ma il punto davvero esplosivo è un altro. Nel mondo ortodosso il patriarcato di Alessandria è quello canonicamente competente su tutti i territori africani. Ebbene il patriarcato annuncia (e secondo alcune notizie già dà seguito in alcune realtà alla decisione) di trasformare alcune parrocchie russe in territorio africano in monasteri sottratti all’autorità di Alessandria. E la rappresentanza del patriarcato moscovita presso quello di Alessandria diviene una parrocchia.

Vladimir Rozannskij, su Asianews, ne ha dedotto che “il patriarcato di Mosca punta evidentemente a organizzare una rete tradizionalista internazionale tra gli ortodossi di tutte le Chiese, con cui contrapporsi” a quelli che per Mosca sono gli scismatici filo-occidentali. C’è una conferma in questo senso, che viene dal senso di quanto dichiarato da Vlesovolod Chaplin, a lungo strettissimo collaboratore del patriarca di Mosca, Kirill: commentando le decisione della Chiesa di Mosca, ha dichiarato che “bisognerebbe nominare dei nuovi primati ecclesiastici veramente ortodossi a Costantinopoli, Atene e Alessandria, sulle cattedre vacanti, al posto dei traditori… Soltanto scuotendoci di dosso la polvere degli eretici e degli scismatici, potremo salvare l’unica Chiesa nella vera fede.”

Queste espressioni paiono andare molto al di là dell’oggetto del contendere la legittimità di una Chiesa autocefala per milioni di fedeli ucraini. Qui è evidente infatti un richiamo al mito della Terza Roma. Una corrente dell’ortodossia russa ha sempre sostenuto questa visione; cadute la Roma imperiale e poi Costantinopoli, la terza Roma è Mosca, diventata la capitale imperiale della cristianità, quella che non cadrà mai.

È un’esagerazione? Un’altra decisione del patriarca di Mosca sembrava andare proprio in questo senso. Sua Beatitudine Kirill ha infatti deciso di concedere ai suoi fedeli di poter dare al momento del battesimo un nome straniero ai propri figli. È un passo verso il liberalismo, non verso il nazionalismo, si è detto. Per l’arcidiacono Andrey Kurayev non è così: questa decisione a suo avviso sarebbe coerente con l’orientamento di trasformare la Chiesa di Mosca nella guida mondiale dell’ortodossia. Con tutto quel che ne consegue.

*Vaticanista di RESET, rivista per il dialogo

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