Nell’ultima pellicola di Martin Scorsese, The Irishman, un Robert De Niro ringiovanito grazie alle moderne tecnologie a inizio film prende a calci un uomo reo di aver maltrattato la figlioletta. Certo, il viso dell’ex Toro Scatenato è più giovane, ma i movimenti, lenti e scoordinati, sono come quelli di un vecchio e poco hanno potuto i tecnici coi loro computer. L’episodio viene in mente riflettendo sul disco, omonimo, pubblicato dagli Who il 6 dicembre scorso.

Chi ha avuto modo di recente di assistere a un loro concerto dal vivo, ha potuto rendersi conto con le proprie orecchie che quell’urlo alto e potente che Roger Daltrey lanciava in Won’t Get Fooled Again e che era la vera essenza del Rock, oggi sia più simile a un miagolio che al ruggito di un leone. E ci mancherebbe, data l’età dei due componenti sopravvissuti della band: Pete Townshend ha 74 anni, anche se gli va riconosciuta la carica e grinta di sempre, specie quando smulinella alla chitarra, per lui il tempo sembra cristallizzato. Mentre Daltrey, che ne ha 75, la voce è costretto a razionarla come un viandante nel deserto fa con l’acqua. In studio, ovviamente, ci sarebbe un altro discorso da fare: la voce parrebbe identica nonostante le decadi trascorrano…

Per come Who è stato concepito e realizzato – a distanza, i due neanche si sono incontrati – vien da chiedersi perché Pete Townshend si ostini a pubblicare dischi col vecchio marchio di fabbrica, quando sarebbe molto più indicato, per lui, produrne da solista o in coppia col fratello Simon. E fu lo stesso Townshend una volta a dichiarare che gli Who non avrebbero nemmeno dovuto essere una band, bensì una sorta di progetto legato a una tesi che aveva scritto influenzato dall’inventore dell’Auto Destructive Art, Gustav Metzger, la cui visione molto critica nei confronti del capitalismo e del sistema dell’arte segna in maniera indelebile il giovane Pete. Che affermò inoltre che una volta raggiunto il successo, la band si sarebbe sciolta. O peggio: si sarebbe data fuoco sul palco.

Sul disco Who, composto da undici brani, che nulla aggiungono alla loro immensa discografia, se ne son dette molte, ma eviteremmo almeno accostamenti blasfemi con grandi dischi del passato per non incorrere in figure barbine. Come quella del fan attempato al loro concerto, che munito di smartphone, per carpire i titoli dei pezzi a lui sconosciuti, attivava inutilmente l’app Shazam apparendo, oltreché ridicolo, anche un poco inadeguato.

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