Poche figure sono interessanti e ricche di stimoli nel panorama artistico italiano come Luigi Cinque. Musicista, compositore, regista, divulgatore culturale: nella sua carriera ultraquarantennale è riuscito a conciliare (tra ispirazioni e collaborazioni) la lotta politica e la ricerca spirituale, il rock e la musica indiana, la taranta e l’opera lirica, gli Area e il Canzoniere del Lazio, Pier Paolo Pasolini e Umberto Eco, Pina Bausch e Nanni Balestrini, sempre mantenendo una forte identità stilistica.

A 66 anni è ancora un vulcano di attività, iniziative e spunti di alto livello: prova ne siano tre grandi eventi che nell’arco di nemmeno dieci giorni lo vedranno protagonista a Roma. Primo di questi eventi sarà il concerto del 28 novembre all’Auditorium Parco della Musica, all’interno della festival Roma Jazz, in cui Cinque guiderà l’Hypertext Orchestra, una compagine variopinta di musicisti straordinari.

Il concerto nasce da un’antica intuizione di Cinque, che donò il titolo a un suo celebre racconto in musica: Il Jazz visto dalla luna. Una lontananza tale da non consentire più a luoghi comuni di velare lo sguardo, in grado di far riscoprire l’impatto culturale del jazz sulla cultura novecentesca. In questa inusuale quanto documentata ricostruzione, il jazz non è una musica solamente afroamericana, ma è lo straordinario frutto di un incontro multietnico. Una musica nata in quel calderone multiculturale straordinario quale era la New Orleans a cavallo tra 800 e 900, dove si è formato questo particolare cromosoma musicale, un modo di intendere il linguaggio, il rapporto con l’inconscio, l’improvvisazione e la tradizione in maniera totalmente nuova.

Nelle origini del jazz convivono la componente klezmer, il ragtime ispirato dalle danze francesi, le funeral band derivanti dalle bande funerarie siciliane e, chiaramente, il forte tappeto ritmico di matrice africana. Le tematiche tipiche di schiavi trapiantati e migranti d’oltreoceano, come dirà lo studioso Alan Lomax del blues, anticipano la concezione esistenzialistica della vita: lo sradicamento vissuto forzatamente dai neri americani preconizza in musica le riflessioni filosofiche di Simone Weil e Albert Camus.

Paradossalmente, questa musica inizialmente reietta sarà imposta al resto del mondo da un paese egemone, vincitore di due guerre; per questo, ma anche per la sua elettrica immediatezza, il jazz influenzerà tutte le forme artistiche del Novecento, mostrando alla letteratura, alla pittura, all’architettura la via della rottura, della velocità, della rivoluzione formale. L’Hypertext Orchestra, fedele a questo spirito, non ripropone l’esecuzione di partiture già eseguite (è un paradosso ripetere fedelmente una musica nata dall’improvvisazione), ma si espone a una serie di continui rischi, come l’esecuzione di brani volutamente mai provati.

In questo modo, il palcoscenico diventa anche un perimetro cerimoniale in cui avviene un rito artistico irripetibile. Un esempio, raro al giorno d’oggi, di grande musica contemporanea. Non a caso, il giorno dopo, assieme a Valerio Corzani, Luigi Cinque terrà alla Libreria Teatro Tlon (via Federico Nansen 14) una lezione spettacolo sul grande teorico della rottura formale in musica, ovvero John Cage.

Qual è stata l’importanza di Cage? Semplicemente quella di aver liberato la mente di chiunque lo abbia incontrato. Per Cage tutto è musica: questo assunto, in primo luogo spiazzante, induce l’ascoltatore a disporsi in ascolto, profondo e aperto allo stupore, della realtà nella sua interezza. La superficiale osticità dei brani di Cage non deve farci dimenticare la sua immensa influenza sulla musica popolare: senza Cage non avremmo avuto Brian Eno (e quindi nemmeno la trilogia berlinese di David Bowie come la conosciamo), ma probabilmente nemmeno Frank Zappa, i Pink Floyd e i Velvet Underground.

Cage è stato una specie di calamita artistica dello spirito rivoluzionario del Novecento, quel filo rosso che lega le avanguardie con gli esperimenti più estremi del rock. La sua visione musicale, fondata sull’abbracciare la casualità, ci ricollega a concezioni antichissime, come quella dei Veda, dove tutto è vibrazione. Cage ha rappresentato la diversità, la liberazione, la commistione tra le arti.

E proprio pochi giorni dopo l’omaggio a Cage alla Libreria Teatro Tlon, Cinque presenterà, durante la manifestazione Più Libri, Più Liberi alla Nuvola dell’Eur (venerdì 6 dicembre alle 12.30 in Sala Nettuno) il documentario The Fabulous Trickster, un suo omaggio a un altro grande pioniere musicale, il troppo presto dimenticato Antonio Infantino. Parliamo di un personaggio dai tratti mitici, sorta di moderno sapiente sufi dall’aspetto di “briccone divino”, per citare un celebre libro di Paul Radin, Carl Gustav Jung e Karl Kerényj.

Cinque definisce Infantino “il re della taranta orfica”: attraverso di lui riesce a raccontare il blues nostrano, l’avanguardia storica, l’aspetto esoterico dell’architettura sacra, il fenomeno antropologico del tarantismo, soprattutto la presenza nel sud Italia della tradizione orfico-pitagorica, ponte ideale con la filosofia orientale, ispirazione sotterranea del Rinascimento. Tre incontri di straordinario interesse per chiunque creda che l’arte e la ricerca possano essere la forma più alta e profonda di resistenza.

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