Il Regno Unito si prepara a votare di nuovo. Non riuscendo a fare la “Brexit di Halloween”, il governo e il parlamento hanno restituito la palla al popolo. Sperano che questa volta l’elettorato produca una chiara maggioranza parlamentare, rendendo possibile un governo non di coalizione. Ma sarà vero?

Le elezioni, le prime dal 1926 a dicembre – tradizionalmente un mese di feste natalizie e celebrazioni allegre – sono di fatto un referendum sotto mentite spoglie in vista della prossima scadenza della Brexit, fissata alla fine di gennaio 2020. Con il Natale di mezzo, è improbabile che il nuovo Parlamento possa discutere e approvare un accordo con Bruxelles sulla Brexit adeguato e funzionante. Le elezioni di dicembre, quindi, sono l’ultima decisione politica disfunzionale di un paese che versa in gravi difficoltà istituzionali. Questa è la vera minaccia della Brexit, l’erosione istituzionale.

Da giugno 2016, due primi ministri sono stati eletti e si sono dimessi.; sono state convocate due elezioni; una sorta di guerra civile tra brexiters e coloro che vogliono restare nell’Unione ha costretto diversi veterani Tory a ritirarsi dal partito; il parlamento e il potere esecutivo sono stati coinvolti in una lotta di potere ugualmente fratricida che ha eroso la statura di entrambe le istituzioni; la corte suprema, un organo giudiziario, è stata chiamata a giudicare il ruolo del primo ministro di “consigliere” politico della Regina nella proroga del parlamento.

La Brexit ha trasformato la “classe politica” britannica in “una forza canaglia” e, nel farlo, ha interrotto la cooperazione tra ministri e funzionari pubblici, la spina dorsale del sistema politico britannico. A Bruxelles i rappresentanti del Regno Unito sono ormai zombie politici incapaci e non disposti a impegnarsi in qualsiasi discussione.

La Brexit ha decostruito le istituzioni britanniche, ridefinendo le loro relazioni con i poteri politici, anche in patria. Abbandonando la narrativa del New Labour di Tony Blair, Jeremy Corbyn ha radicalizzato il partito laburista all’interno del parlamento britannico. Questa metamorfosi ha avuto successo perché quest’ultimo è diventato disfunzionale, focalizzato com’è da oltre tre anni sul dibattito Brexit.

La politica interna soffre della stessa malattia. L’accordo sulla Brexit di Johnson crea un confine nel mare d’Irlanda, favorendo pericolosamente l’unificazione tra il nord e il sud dell’Irlanda. La Scozia, sotto Nicola Sturgeon, sta spingendo per un secondo referendum sull’indipendenza. La Brexit ha anche liberato un nuovo ceppo di nazionalismo inglese. Di conseguenza è in gioco la stessa unità del Regno Unito.

Perfino gli slogan della campagna elettorale sono disfunzionali: il mantra socialista di Corbyn è intriso della nostalgia degli anni 70 che divideva il paese tra classe operaia e capitalisti mentre Johnson si è lanciato come il Robin Hood del popolo contro il parlamento. Tutti questi cambiamenti sono il risultato della lenta erosione istituzionale che stanno producendo i continui inaspettati colpi di scena della politica della Brexit.

Come i tweet di Donald Trump, Brexit crea continuamente situazioni eccezionali che richiedono risposte altrettanto non ortodosse. Poiché le persone sono costantemente spaventate, non hanno tempo di digerire le notizie e riflettere su di esse.

I politici sembrano essere ugualmente affetti dalla politica dell’inaspettato. In questo contesto il piano a lungo termine di Boris Johnson per la Brexit: trasformare il Regno Unito nella Singapore d’Europa, non sta né in cielo né in terra. Bruxelles non permetterà mai a un paese a poche decine di miglia dalle sue coste di annacquare la normativa dell’Ue e scatenare lo spirito animalesco della competizione finanziaria. Un piano così potrebbe avere un tale successo da mettere a repentaglio il primato stesso dell’Unione.

Altrettanto delirante è la convinzione di Corbyn e Johnson di poter vincere le elezioni a maggioranza parlamentare. Entrambi devono tenere conto del fatto che il 12 dicembre la Gran Bretagna voterà su una singola questione, rimanere o uscire dall’Ue. Altre forze politiche si sono posizionate per consegnare su tale problema. I laburisti non si sono espressi chiaramente sulla Brexit, e di certo perderanno voti in Scozia che guadagnerà il pro-europeo Snp, il Partito nazionale scozzese; nel resto del paese perderanno voti che andranno ai liberali democratici anche loro pro europei.

Tra coloro che vogliono uscire Boris Johnson dovrà fare i conti con partito Brexit di Nigel Farage. A complicare ulteriormente la questione, a sostegno della Brexit Donald Trump ha offerto uno speciale accordo commerciale con gli Stati Uniti per sostituire quello con l’Unione europea. Questa è una proposta allettante per il fronte anti-europeo, ma non necessariamente la migliore opzione per il paese dal momento che oltre il 40% del commercio del Regno Unito avviene con l’Europa, e perdere anche parte di questa attività sarebbe negativo. Dato che Trump è impopolare nel Regno Unito perché troppo abrasivo, Johnson, che sa come incantare il suo elettorato, potrebbe essere danneggiato dalle ingerenze americane.

Mentre la campagna elettorale è in pieno svolgimento, le contrazioni di un sistema politico disfunzionale vengono amplificate e le persone diventano più confuse su ciò che i diversi partiti offrono loro. Chi farà la campagna su una singola questione, come il Brexit Party di Nigel Farage, forse avrà la meglio semplicemente per la chiarezza e la semplicità del loro messaggio. Il paese vuole andare oltre la Brexit: è irrilevante come o chi lo farà, purché accada.

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