di Carla Peirolero*

La collaborazione con la terza edizione di Book Pride a Genova ci ha offerto l’opportunità di vivere tre incontri intensi ed emozionanti: la presentazione dell’antologia Future (effequ) e di Io sono confine (Elèuthera) di Shahram Khosravi, e il dibattito su il Suq dei desideri, con Marco Aime. Occasioni per una riflessione a più voci sull’oggi, ma soprattutto sul futuro che desideriamo.

Esperance, Marie, Djarah e le altre: il futuro è qui, e si nutre di memoria

Esperance H. Ripanti e Marie Moïse. Mentre le guardavo e le ascoltavo durante la presentazione del libro Future – 11 autrici afro-discendenti per altrettanti racconti – , curato da Igiaba Scego, pensavo: ecco le nipoti delle donne che hanno fatto la resistenza, scritto la nostra Costituzione e dato vita ad alcune delle battaglie parlamentari più importanti.

Sono seconde generazioni, o nuove cittadine, come le vogliamo chiamare; hanno sangue migrante nelle vene insomma, e con la “terra di mezzo” di cui parla Scego hanno molto a che vedere. Non hanno paura di nominare le parole lotta e rabbia. E le nominano perché le sanno gestire, sanno evitare che possano debordare, annientare prima loro stesse e poi il mondo intorno. Sono capaci di trasformarsi, evolversi, cercare nuove strade e alleanze. Non siamo in guerra in Europa, ma solo un cieco non vede quante ingiustizie, disparità di trattamento, immobilismo gravano come un macigno sulle spalle dei più fragili tra noi.

“Nella mia scrittura c’è la mia lotta perché è difficile essere povera, donna, e avere un cognome con due puntini sulla i, chiaro segno di una diversità, di un marchio, una cicatrice” spiega Marie Moïse, discendente da parte di padre da una famiglia haitiana. Nel suo racconto Abbiamo pianto un sacco di risate, intimo e potente al tempo stesso, la rabbia si scioglie (in pianto e risate), nel momento in cui trova la forza di ricongiungersi con le sue radici, per tanto tempo negate, fonte di problemi, di risentimenti. “A questo nonno senza storia, a quello che per me era solo un volto marrone a pennarello su un quaderno, dedico la lotta che ho scelto, o forse che finalmente ho raccolto” (cit. Future).

Diverso il percorso di vita di Esperance che arriva in Italia a tre anni dal Ruanda nel fatidico anno del genocidio, il 1994, insieme ad altri 40 orfani. Lamiere, titolo del suo racconto – che ha un andamento quasi cinematografico, con molti dialoghi veloci, efficacissimi – , prende il titolo dalla vicenda lancinante dell’assassinio di Soumaila Sacko, bracciante del sud colpevole di aver preso delle lamiere per costruirsi una baracca.

Per Esperance non si può prescindere dal prendere posizione, dal lottare contro discriminazioni e violenza, contro i pregiudizi verso chi ha la pelle nera. “Farlo attraverso la scrittura, esprimere le mie idee, i miei sentimenti è quello che voglio fare. Il mio mito è Igiaba Scego, la mia forza è sentire che non sono sola, essere in questa antologia è stato come farmi sentire parte di una famiglia, siamo in 11, e siamo sorelle”. Come si fa a non commuoversi? Ma si ride anche, scherzando su nomi e cognomi che a volte paiono impronunciabili: Ghebreghiorges, Djarah Kan, Ndack Mbaye, Ouedraogo, Tesfamariam. Esercitatevi e imprimeteveli nella memoria: li sentirete di nuovo. Sono forti, toste, brave, sono #future.

Khosravi: i migranti sono grandi narratori, come Shahrazad

Shahram Khosravi, docente di Antropologia Sociale all’Università di Stoccolma, è di origini iraniane ed è arrivato in Europa in tempi in cui era più facile farlo, era il 1988. Un anno dopo crollava il muro di Berlino, ma come lui ci ha detto, intervistato e tradotto da Alberto Lasso, dopo il crollo di quel muro nel mondo ne sono stati costruiti molti di più, numeri davvero spaventosi: erano 16, ora sono 80.

Ci sono poi muri invisibili che sono ancora più difficili da abbattere, quelli che separano le persone in nome del colore o di appartenenze etniche, religiose. Per oltrepassare la linea del colore, ad esempio, a volte non basta un passaporto. “ Io stesso ho dovuto sottostare in una occasione a un lungo interrogatorio sebbene già cittadino svedese, solo perché il cognome e il mio colore mi facevano essere sospettato di terrorismo”.

Raccontare storie può servire per mantenere una speranza, e forse per questo è un bisogno che i migranti sentono. Lo ha scoperto Khosravi nelle sue ricerche sul campo, tra rifugiati di varie provenienze. “Anche loro raccontano per non morire come Shahrazad – dice Khohsravi – i migranti sono grandi narratori, attraverso le storie immaginano il futuro”.

Il Suq dei desideri: i nuovi venti razzisti che ci riportano sulle barricate

Sembrava che di fronte a noi si aprisse una strada in discesa, o perlomeno in pianura, quando abbiamo dato vita al primo Suq Festival. Era il 1999, si avvertivano i problemi – ed era il momento di affrontarli con una strategia politica seria – ma c’era spazio per iniziative di dialogo, di riconoscimento gli uni degli altri, di riunire artisti di tante provenienze, senza per questo sentire gli slogan ormai noti “prima gli italiani” “ma perché loro?” “ci tolgono il lavoro”. Anni in cui nasce l’Orchestra di Piazza Vittorio, prendono il via bellissime esperienze musicali, anche qualcuna teatrale e festivaliera, come noi. Ma se la scena e i palcoscenici si colorano, nella società cresce insofferenza, paura, pregiudizio.

“È frutto della strumentalizzazione politica del fenomeno immigrazione – dice Aime – i dati vengono spesso distorti, ad uso e consumo di una certa propaganda; però non trascuriamo il disagio che ha creato e crea la migrazione soprattutto sulle fasce di popolazione più povere, e in difficoltà. Per questo occorreva una strategia politica lungimirante”. Sì, zone delle città, quelle più periferiche, si sono via via trasformate in ghetti, mentre intanto il Mediterraneo diventava “una tomba a cielo aperto” (prendo a prestito una definizione di Igiaba Scego, in Future).

La cultura poteva fare di più e meglio, in questi 20 anni, (All’European Forum 2017 per parlare delle sfide del 2018, anno europeo del patrimonio culturale ): ora è tempo di una riscossa, e c’è una comunità teatrale che se n’è accorta. E la letteratura? Di certo possiamo contare su giovani eroine come Esperance e Moïse che, come Greta Thunberg per l’ambiente, sanno contagiare tutti con la loro passione. Speriamo in questi innesti e coltiviamo il futuro.

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Credits foto: Rosalba Greco

*Ideatrice Suq Festival e Teatro

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