Donald Trump ha esaltato la notizia della morte di Al Baghdadi dimenticandosi che il leader dell’Isis facendosi saltare in aria con una cintura da shahid si è guadagnato un posto importante nella lista dei martiri venerati dalla galassia jihadista. Forze speciali decollate con otto elicotteri da Erbil, nel Kurdistan iracheno, a oltre 500 chilometri dal villaggio di Barisha in Siria, hanno condotto un raid conclusosi con la morte del “califfo” Al Baghdadi e di altri jihadisti incluso il capo della sicurezza di al-Baghdadi, Ghazwan Al Rawi.

Secondo Cole Bunzel, uno studioso del movimento jihadista, Al-Baghdadi ha cercato nel tempo di tenere sotto controllo un equilibrio di per sé già molto precario. Al Qaeda potrebbe avere ora l’opportunità di riunificare il movimento jihadista globale. Dopo la morte di Al- Baghdadi si ritiene che alcuni massimi esponenti dell’Isis si siano dispersi in tutta la regione tra Siria e Iraq per evitare di essere presi di mira.

Certo, la morte di Al Baghdadi non rappresenta la morte dell’Isis che da tempo si è decentralizzato soprattutto in Africa, continuando a pianificare delle operazioni attraverso una presenza ancora significativa in Afghanistan, Libia, Sud-Est asiatico, ma soprattutto in Africa occidentale e Africa orientale.

L’organizzazione jihadista può ancora contare su una consistente rete formata da gruppi affiliati e wilayat (province) che continuano a operare in diverse parti del mondo, soprattutto nei cosiddetti no man’s land, dove la povertà unita alla marginalizzazione socio-economica delle comunità beduine ha favorito il processo di radicalizzazione delle tribù locali e lo sviluppo del terrorismo jihadista verso una vera e propria daeshizzazione.

Le forze armate statunitensi stimano che vi siano ancora 18mila membri dell’Isis in libertà tra Siria e Iraq, mentre secondo le Nazioni Unite è possibile che siano ancora vivi 30mila combattenti terroristi stranieri. Nei prossimi giorni ci sarà una significativa preoccupazione con allerta massima in Francia, Usa e Gran Bretagna per attacchi terroristici con l’obiettivo di vendicare la morte di Al Baghdadi.

C’è però un altro problema legato al presunto successore di Al Baghdadi: è opinione diffusa tra i jihadisti che un “califfo” debba avere determinati attributi e credenziali. In primis il requisito di discendere dalla tribù Quraysh del profeta Mohammed. Un altro è l’obbligo di avere una conoscenza significativa della giurisprudenza islamica. Baghdadi è stato in grado di convincere i suoi seguaci a soddisfare questi requisiti, ma ciò restringe il pool di potenziali successori.

Diversi media ipotizzano come erede designato di Abu Bakr al-Baghdadi, un ex soldato dell’esercito di Saddam Hussein, tale Abdullah Qardash. La notizia, pubblicata per la prima volta da Newsweek e ripresa da numerosi media si baserebbe su un breve testo diffuso da Amaq lo scorso agosto, poi smentito anche dal presunto Stato Islamico poche ore dopo la sua diffusione.

Oggi appare chiaro che il futuro del terrorismo jihadista si stia giocando proprio tra al Qaeda e Isis, con la prima organizzazione che, dopo la morte di Al Baghdadi, vede sempre come obiettivo di essere la mente operativa, sfruttando la seconda come braccio operativo, in quanto con maggior esperienza nel combattimento, nella tecnologia e nella comunicazione.

Intanto gli Usa nella bagarre generale hanno preso controllo di alcuni pozzi petroliferi strappati all’Isis soprattutto nella parte orientale del Paese, impedendo di fatto ad Assad di garantirsi importanti risorse ed essere accusati dai russi di banditismo internazionale.

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