Noi stiamo con i curdi perché odiamo i bavagli e perché non dimentichiamo la loro eroica resistenza contro l’Isis.
Erdogan, ancor prima di invadere il Rojava, ha sbattuto nelle sue galere centinaia di oppositori. Tra questi magistrati, avvocati, studenti, esponenti delle opposizioni.

La Turchia è stata definita ed è il più grande carcere al mondo per giornalisti: chiunque abbia manifestato un pensiero critico verso il Sultano è stato perseguitato, denunciato, arrestato. I media indipendenti sono stati chiusi. Le istituzioni internazionali gli hanno tirato qualche buffetto, perché gli sono stati regalati fiumi di euro per svolgere il ruolo di gendarme e fermare i migranti, a cominciare a quelli in fuga da una Siria martoriata e insanguinata.

Chiunque abbia a cuore le sorti dei diritti politici e civili, a cominciare dalla libertà di informazione, non può che scendere in piazza, reclamare lo stop alla guerra, ma anche anche la liberazione dei detenuti politici.

L’invasione del Rojava – sarà bene non dimenticarlo – ha l’obiettivo di cancellare i curdi, di sterminarli e di mettere fine ad un esperimento, politico, civile, sociale, considerato eretico e pericolosa da tutti i regimi, e non solo da quello turco. Nel Rojava, tra mille difficoltà, è stata costruita una Repubblica che ricerca l’uguaglianza sociale, riconosce le differenze religiose, politiche, di genere, esalta il ruolo della donna, tutela il diritto di critica e la libertà di espressione.

Per questo Erdogan, dopo aver imbavagliati centinaia di cittadine e cittadini turchi, vuole oggi colpire e imbavagliare un’intera comunità, prima che il contagio cominci a passare i muri dell’odio e del razzismo. Per questo abbiamo il dovere, come giornaliste e giornalisti, come associazioni che hanno a cuore l’articolo 21 della Costituzione, di alzare la voce, di scendere in piazza, di dare voce alla resistenza curda, di “illuminare” a giorno chi lotta contro la guerra e i bavagli.

In quella terra, anche se molti fingono di non sapere, è in atto uno scontro che ci riguarda e riguarda il futuro delle mostre libertà, individuali e collettive.

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