Ha ragione Paolo Vites, nella sua recensione sul Sussidiario: “E’ impossibile avvicinarsi al nuovo disco di Nick Cave, Ghosteen, senza aver letto le conversazioni che l’artista australiano tiene da mesi con i suoi fan tramite la newsletter The Red Hand Files, in cui risponde personalmente a ogni genere di domanda. Qualcosa che nessun artista rock ha mai fatto prima, almeno con questa continuità, una volta alla settimana”.

Impossibile, soprattutto, prescindere, nella comprensione dei suoi ultimi due dischi, dalla tragedia che ha colpito la famiglia del cantautore australiano nel luglio del 2015: la morte del figlio 15enne, caduto da una scogliera nei pressi di Brighton.

Il disco è profondamente spiazzante per i fan del Nick Cave “classico”, ma coerente con l’evoluzione sonora degli ultimi dischi; dal germe presente in Push the Sky Away all’evoluzione in Skeleton Tree, Nick Cave in Ghosteen trova la piena maturità della sua nuova ricerca musicale: una progressiva rarefazione, una circolarità melodica fondata sull’estensione dei brani, la ripetizione di versi molto semplici, immagini che evocano suggestioni mistiche, procedendo per associazioni libere e visioni allegoriche degne di William Blake (una spirale di bambini che ascende verso il sole in Sun Forest).

Nella sua riflessione su minima&moralia, Liborio Conca accosta il disco a due altri album che affrontano il lutto nella storia del rock d’autore: Lou Reed, con Magic and Loss, e Mount Eerie, ovvero il cantautore Phil Elverum, con A Crow Looked At Me. Scrive Conca: “Nick Cave – non fa meglio, non fa peggio, non è questo il punto – compie un passo ulteriore e iscrive Ghosteen in una dimensione altra; è come se avesse creato un mondo nuovo, e per questo Ghosteen è un album destinato a diventare un classico, un’opera con cui dovremo fare i conti”.

Vorrei ricordare un altro disco che ho immediatamente accostato, al primo ascolto, all’ultima opera di Nick Cave, ed è il bellissimo Grief is the thing with feathers, del compositore friulano Teho Teardo. Un disco che ha una genesi completamente diversa: la musica è stata composta da Teardo a maggio del 2017, dopo la lettura dell’omonimo libro di Max Porter (Il dolore è una cosa con le piume, Guanda), in cui il protagonista affronta il lutto per la scomparsa della moglie. Un mese dopo, il regista e scrittore irlandese Enda Walsh (già noto per aver scritto con David Bowie Lazarus, sorta di musical/testamento), con cui Teardo collabora ormai da anni, gli ha confidato il desiderio di voler mettere in scena uno spettacolo ispirato proprio al romanzo. In breve, il progetto è diventato un disco e un’opera teatrale, con protagonista Cillian Murphy (protagonista di Peaky Blinders), di grande successo.

L’associazione tra Nick Cave e Teho Teardo non è peregrina, al contrario il loro punto d’incontro, artistico e umano, ha nome e cognome: Blixa Bargeld, leggenda della scena musicale indipendente tedesca, fondatore del gruppo di culto Einstürzende Neubauten, colonna, in qualità di chitarrista e cantante, per quasi vent’anni dei Bad Seeds (il gruppo storico di Cave) e successivamente collaboratore con Teardo in dischi straordinariamente interessanti come Still Smiling e Nerissimo. La lezione di Bargeld nel trarre bellezza dal rumore è terreno comune per entrambi i musicisti e (sebbene ora la principale influenza sonora dei dischi di Cave sia quella di Warren Ellis) per entrambi i dischi.

Lo stile compositivo di Teardo è perfetto per restituire l’inesprimibile caos interiore di un lutto straziante: l’ossessivo martellare di sonorità punk, un tappeto sonoro di rumori sapientemente orchestrati, un crescendo parossistico di note ripetute come mantra sonori, l’improvvisa epifania di melodie descritte dagli archi, squarci di luce nell’abisso della disperazione; un percorso di laica redenzione ritmato da violenti contrasti di rumore e melodia.

Il percorso che Teardo ha delineato nel suo album, Nick Cave lo ha vissuto e lo sta probabilmente ancora vivendo nella sua quotidianità, testimoniandolo nei due dischi conseguenti alla tragedia familiare: se Skeleton Tree (2016) è l’emozionante flusso di coscienza del cantautore sconvolto dal dolore (alcuni brani erano anteriori all’evento luttuoso, con un impressionante spirito profetico già presente in altri brani precedenti di Cave), Ghosteen prelude a una possibile resurrezione simbolica, evocando l’avvento della pace interiore.

In entrambi i casi l’accettazione del caos, dell’incompiutezza, della fragilità ontologica propria dell’essere umani conduce a una consapevolezza liberatrice, in grado di schiudere la meraviglia dal cordoglio, come riassunto benissimo sia dall’ultimo verso del disco di Cave (“and i’m just waiting now, for peace to come”), sia dal brano posto da Teardo a conclusione di Grief Is The Thing With Feathers, ovvero: Unfinished. Beautiful. Everything.

Articolo Precedente

Niccolò Fabi: “Non sono un artista da propaganda elettorale, protesto sussurrando”

next
Articolo Successivo

Gigi D’Alessio: “Io, vittima di pregiudizi: i miei dischi li buttavano nella ‘munnezza’. Ma alla fine ne ho venduti 26 milioni e oggi mi prendo una rivincita”

next