Era data per favorita, forse sulla scia dei successi sempre più grandi riscontrati in questi ultimi mesi: invitata a parlare davanti ai grandi della Terra, ovunque nel mondo. Invece l’Accademia norvegese ha deciso di non assegnare il Premio Nobel a Greta Thunberg, suscitando probabilmente profonda delusione in quei sette milioni di ragazzi che nelle scorse settimane sono scesi in piazza per protestare contro l’inazione dei governi contro il cambiamento climatico.

Anche a mio parere si tratta, in effetti, di un’occasione persa. Anche se ovviamente ci tengo a chiarire che il Primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali, che ha ricevuto il premio, lo meritava parimenti, visto il suo impegno cruciale nella risoluzione di un conflitto ventennale con l’Eritrea. Eppure ritengo la mancata assegnazione a Greta un’occasione persa perché accostare battaglia per il clima e pace del mondo è qualcosa di importantissimo, anche se non tutti, e anzi proprio per questo, riescono a coglierne il nesso.

Infatti, come d’altronde aveva stabilito la stessa Accademia quando nel 2007 assegnò lo stesso premio all’Ipcc, il comitato scientifico dell’Onu che studia il clima, il rapporto tra riscaldamento globale e guerre è diretto. Semplicemente, e linearmente ahimè, se le risorse diminuiranno – come avverrà -, se cioè le persone con accesso all’acqua saranno sempre di meno, se il cibo diventerà più scarso e più caro, se infine le terre abitabili si ridurranno progressivamente in proporzione all’aumento delle temperatura, è ovvio che aumenteranno in proporzione anche i conflitti per accaparrarsi acqua, risorse, terre. Così come aumenteranno le tensioni e gli scontri dovuti alle massicce migrazioni, con centinaia di milioni di persone che si sposteranno nel mondo.

Come ho già avuto modo di scrivere, la questione climatica non è una semplice questione ambientale: va a incidere sulla geopolitica, sconvolgendola; va incidere sull’economia, facendo saltare la stabilità finanziaria; va incidere sulla salute delle persone, sulla giustizia sociale, su ogni ambito della vita sociale e collettiva. Fermare il cambiamento climatico, proteggere l’ambiente, affinché resti il più stabile possibile, significa allo stesso modo contribuire a rendere stabile il mondo. Credo che lo capirebbe anche un bambino.

E tuttavia ci sono altre ragioni per cui la mancata assegnazione è forse un bene. Da un lato, perché questa furia di riconoscimenti a Greta Thunberg da parte soprattutto dei potenti della Terra spesso va di pari passo, come abbiamo visto, con l’inerzia e l’inazione in ambito di politiche anti-emissioni. Celebrare Greta è anche un modo per lavarsi la coscienza, tingere la propria politica di “green” senza poi dare seguito alle promesse (vedi anche il neoapprovato Decreto clima in Italia: altro che “Green New Deal”, si tratta di pochi soldi per misure che non andranno a scalfire in alcun modo le nostre emissioni: a dimostrazione che tutti quelli che esaltavano Greta ben poco hanno capito, o voluto capire, del suo messaggio).

La seconda ragione è che un premio simile avrebbe di nuovo esposto Greta ai detrattori, che negli ultimi mesi, proprio mentre si intensificava la sua visibilità, l’hanno colpita pesantemente con le armi dell’ignoranza e della diffamazione. Arrivando a messaggi violenti, come quelli del fantoccio di Greta impiccato in un cavalcavia a Roma.

Mi immagino la sequela di articoli e commenti di vecchi tromboni che di scienza non sanno nulla pronti a criticare il “radicalscicchismo” dell’Accademia norvegese, pronti a scagliare le loro penose frecce comodamente arroccati sulla sedia della loro presunta (ma non tale) scorrettezza politica. Ecco, tutto questo ci è stato risparmiato, anche se per la verità, a parte qualche elemento di satira divertente (Greta con il cartello “la plastica buttatela in Etiopia” o “Come osate rubarmi il Nobel”), non è mancato chi ha commentato esaltato il fallimento della “montatura mediatica dei salotti buoni”.

La questione del Nobel è comunque l’occasione per riflettere su quale dovrebbe essere il ruolo che Greta assumerà nei prossimi mesi: se di maggior basso profilo – ma d’altronde, va detto, sono le istituzioni che la invitano – o di sempre maggior protagonismo. Personalmente, penso che abbiamo ancora bisogno di lei come simbolo e come leader. Ma anche credo che, in un’epoca dove tutto va velocissimo, anche Greta, come ogni leader mediatico – sia pure totalmente autentico -, rischia appunto di bruciarsi. La soluzione però c’è: andare avanti facendo emergere, come d’altronde già è, il movimento dei Fridays for Future, ma anche altri movimenti che indirettamente si riferiscono a lei, come gli Extinction Rebellion.

È giusto che lei continui a svolgere il suo ruolo di influencer sul clima: lo fa egregiamente e, ripeto, ne abbiamo disperatamente bisogno perché della crisi climatica si parla solo grazie a lei. Ma questo insieme ai nuovi movimenti che stanno crescendo come un’onda e stanno prendendo sempre maggior consapevolezza del proprio ruolo e della propria importanza a livello locale. Lo ha capito bene Amnesty International che ha deciso proprio poche settimane fa di assegnare non solo a Greta, ma anche al movimento dei Fridays For future, il premio di “Ambassador of Conscience 2019”.

Un appello, infine, ai detrattori di Greta: siate quanto meno coerenti. Anzitutto, cominciate ad attaccare anche loro, quel milione di ragazzi sceso in oltre duecento piazze italiane. Ma soprattutto, non limitatevi a sterili dibattiti pro e contro di lei, perché si tratta di un ottimo e comodo modo ma parlate del vero problema, sul quale non avete parole: ovvero l’inarrestabile aumento delle temperature. Che sta cambiando e cambierà per sempre la vita di tutti, negazionisti compresi, ovviamente.

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