Se cercate la fiera delle vanità sommata all’arroganza del potere, la volgarità dell’ignoranza e la leggerezza dell’inganno, eccola servita in un cocktail grottesco chiamato Greed, per la nota firma di Michael Winterbottom. Il regista britannico che – nel bene o nel male – non ha mai smesso di fare il suo cinema di denuncia, sembra tornato in discreta forma in questa sua nuova fatica, tanto folle quanto realistica, presentata ieri al 63° London Film Festival in premiere europea dopo l’anteprima mondiale a Toronto.
Scritta dallo stesso cineasta (acclamato in vari festival e Orso d’oro nel 2002 per In This World) insieme alla penna tagliente di Sean Gray (autore di Veepe della super-satira politica televisiva The Thick of It), mette al centro uno strepitoso Steve Coogan nei panni di un imprenditore seducente e imbroglione, ma talmente geniale nel fiutare (e crearsi) gli affari da esser diventato l’uomo più ricco del Regno Unito. All’anagrafe Sir Richard McCreadie è soprannominato – non casualmente – McGreedy,dove greedysta chiaramente per avido; questi per i suoi 60 anni decide di organizzare un party stellare sull’isola di Mykonos, auto-celebrativo di una vita da autodidatta iniziata dal piccolo trade di stracci nelle strade malfamate di Londra e finita in una catena d’abbigliamento potente e diffusa nel mondo. Il suo talento imprenditoriale è pari solo alla sua inarrestabile mitomania ed ingordigia di denaro, che ovviamente incassa a palate evadendo le tasse.
Se il personaggio e il suo entourage (la famiglia allargata, gli “schiavi” a basso costo, i leccaculo..) sono frutto dell’invenzione del regista di 24 Hour Party Peoplee di Gray, l’ispirazione alla realtà è più che tangibile: la massificazione dell’abbigliamento, mentre la figura del magnate assurge a simbolo di chiunque abbia saputo edificare sulla deregulation del capitalismo un regno di potere assoluto.
Sir Richard è uno sfruttatore dall’indole schiavista e un istrione d’ambizione e arroganza infinite, neppure il tribunale che lo accusa di evasione fiscale lo intimidisce, “andate ad arrestare Mr Google o Mr Amazon, non me!” esplode con un ghigno dalla dentatura abbacinante. Eppure è un eroe tragico, non a caso è inglese. Citando Shakespeare a vanvera e cercando il trionfo nello stile dell’antica Roma (la festa si ispira ai gladiatori con tanto di leone vero portato sull’isola greca ad “animare” un Colosseo costruito ad hoc),si avventura nell’autodistruzione: una punizione esemplare per l’incapacità di fermarsi, di non vedere il proprio limite.
Costruito come mockumentary con il punto di vista coincidente a quello del biografo di Richard che assecondiamo nelle interviste al suo entourage per meglio “comprendere l’anima” del monster, Greedtrova nel soggetto (e dunque nelle intenzioni) la sua parte migliore: inspiegabilmente la sceneggiatura risente di tratti superficiali solo parzialmente compensati da soluzioni di regia e di performance.Il cinismo manifestato da questo megalomane bugiardo poteva dar adito ad un approfondimento narrativo e drammaturgico di ben altro spessore satirico.
Il film, comunque, ha più di un motivo per essere visto e – tutto sommato – goduto (si ride parecchio..), perché accanto alla messa in scena di qualcosa che è famigliare ad ogni angolo del pianeta, si accosta una forte denuncia dello sfruttamento lavorativo sia dei territori geopoliticamente più fragili (in questo caso è lo Sri Lanka),che delle donne, sotto pagate e costrette a condizioni esistenziali non diverse da un passato mai troppo lontano. Ed è proprio una donna, guarda caso, a decidere del destino di Sir Richard: una nemesi punitiva tronfia e sanguinaria degna della tragedia epica. Con tanto di eredità edipica a seguire. Ancora non è chiaro se il film uscirà in Italia: in tal caso, certamente troverebbe un suo pubblico.