Ricordo ancora le parole della mia insegnante di recitazione: “Anche un criminale una volta è stato bambino e ha avuto un percorso di vita che lo ha condotto a compiere atrocità, perciò non giudicatelo mai. Capitelo profondamente, entrate nel suo mondo, vivetelo, credete in lui e sarete credibili agli occhi del pubblico”.

Ieri sera, mentre mi scorrevano davanti le immagini di Joker, il film di Todd Phillips, queste frasi che tante volte avevo ascoltato con trasporto ora prendevano vita e corpo grazie all’indescrivibile lavoro attoriale di Joaquin Phoenix e del suo Arthur Fleck. A gran voce si invoca un Oscar per questa interpretazione e per il film in generale che sono sicura arriverà, perché Joker è un’opera straordinaria, introspettiva, potente e spietata.

Non ti tiene felicemente incollata alla poltrona, ma ti costringe a star seduta a guardare: perché la verità è che vorresti scappare via, vorresti non vedere più Arthur e il suo corpo scarno, la sua camminata fragile e quegli occhi così carichi di tristezza da spezzarti il cuore in mille pezzi. Vorresti gridare “basta” quando quei tre bastardi in metropolitana lo picchiano a sangue e continuano a infierire su di lui anche quando è a terra, inerme e sofferente e, in barba a tutta la moralità e al senso civico di questo mondo, sei sollevata quando tira fuori la pistola e spara.

Vorresti alzarti e sederti lì accanto a lui in quell’ospedale, perché sai benissimo che quella donna che gli accarezza la spalla è solo nella sua testa, perché vivi la sua solitudine talmente tanto da sentirne quasi la consistenza. Vorresti abbracciarlo forte quando, disperatamente, chiede a quello che lui crede suo padre un briciolo di affetto e tra le lacrime urla “ma che diavolo vi è successo a tutti?!”. Quel “a tutti” ti rimbomba forte nella testa e ti sbatte in faccia una realtà così tremendamente simile a quella nella quale siamo immersi ogni giorno.

L’indifferenza sociale di cui è vittima Arthur Fleck è la stessa di cui oggi sono vittime i più deboli, i poveri e i disperati che fuggono dal terrore dei loro Paesi d’origine, e poi i malati di mente come lui, che spesso vengono isolati e imbottiti di medicinali per non turbare la fottuta quiete pubblica, che è quiete solo per pochi e inferno per tanti. Non esiste empatia per Arthur, perché chi è diverso fa paura. E allora lo si evita oppure incuriosisce morbosamente come fosse una specie di fenomeno da baraccone, uno scherzo della natura di cui beffarsi con gli amici, un’attrazione da esporre al pubblico ludibrio, come accade al protagonista durante lo show di Murray Franklin, interpretato da un grande Robert De Niro.

E qui le inquietanti analogie con il cyberbullismo dei nostri giorni si fanno davvero interessanti. In una recente intervista, Todd Phillips ha appunto ammesso che la Gotham in cui vive Arthur (che ricorda tanto una grigia New York degli anni 80), potrebbe quasi essere paragonata al web, riferendosi in particolar modo ai social network e al modo in cui tante persone indifese – come Arthur – corrono continuamente il rischio di essere oggetto di denigrazione pubblica.

Il Joker raccontato da Phillips non è il villain da fumetto che tutti conosciamo, non è il giullare pazzo al quale ci ha abituato Tim Burton con lo straordinario Jack Nicholson e non è lo psicopatico e surreale assassino impersonato da Heath Ledger ne Il Cavaliere Oscuro. Qui Joker è umano, disperatamente e senza riserve. Non è lui che corrode la società, semmai è la società che corrode a tal punto il suo animo fragile da indurlo a cedere definitivamente a quella follia latente, che per gran parte della sua vita ha tentato in ogni modo di arginare. Malato perché figlio di una società malata più di lui, perché cresciuto in un mondo che anziché accogliere e comprendere, ignora o umilia.

Arthur Fleck è un emarginato, un disadattato e il suo immenso disagio sociale si concretizza in una risata isterica e persistente, che quasi gli toglie il respiro e che lo costringe a girare per la città con un bigliettino che spiega il suo disturbo a chi, incredulo e spaventato, lo guarda contorcersi e ridere di dolore. Joaquin Phoenix è superbo, completamente immerso nella miseria umana che travolge Arthur e che lo porterà inevitabilmente verso il baratro. Un baratro che sarà per lui, in realtà, una rinascita nella quale troverà finalmente la pace interiore.

C’è una scena meravigliosa nella quale Fleck, ormai Joker, viene catturato dalla polizia e dal sedile posteriore dell’auto guarda attraverso il vetro la città bruciare, mentre centinaia di persone con la maschera da clown inneggiano a lui: il suo viso si distende e si apre in un sorriso vero, profondo, frutto di un’attesa lunga una vita. Seppur ammanettato e diretto al manicomio di Arkham Asylum, la sua umana follia gli ha finalmente regalato la libertà.

Tutto il resto è storia – o meglio fumetto.

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