Nessuna autocritica, nessuna scusa. Il giorno dopo le dimissioni da amministratore delegato e direttore generale di Atlantia, società che controlla Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci racconta al Corriere della Sera i suoi 18 anni al vertice della società della famiglia Benetton, sostenendo di aver cercato di “abituare i colleghi all’analisi e alla programmazione e a una diversa attenzione alla sicurezza“. Le nuove misure cautelari a carico di dipendenti delle controllate Aspi e Spea con l’accusa di aver falsificato i report sullo stato dei viadotti anche dopo il crollo del ponte Morandi diventano così una vicenda che riguarda solo “due dei nostri 1943 ponti“. Anche sui 43 morti a Genova la linea difensiva resta la stessa: “Nessuno aveva evidenziato pericoli”. Nonostante la relazione dei tecnici del ministero dei Trasporti e la perizia agli atti dell’inchiesta dicano che la manutenzione “è stata inefficace“.

Quindi, Castellucci non lascia per demeriti o per senso di responsabilità, ma perché “non posso e non voglio essere l’uomo per tutte le stagioni”. E racconta i meriti dei suoi 18 anni alla guida di Autostrade: “Era un’azienda con un management cresciuto nel sistema delle partecipazioni statali, non sempre sufficientemente attento alla qualità del servizio e alla sicurezza. Mi ci sono appassionato, cercando di abituare i colleghi all’analisi e alla programmazione e a una diversa attenzione alla sicurezza. Asfalto drenante e tutor sono primati di Autostrade”. Nessun accenno al crollo del Morandi, ma anzi la rivendicazione di un’attenzione particolare alla sicurezza, migliore di quella che faceva e farebbe il pubblico.

Il 14 agosto 2018 però è venuto giù un viadotto e 43 persone sono morte. “È una tragedia di cui noi tutti non ci facciamo umanamente una ragione e di cui i tecnici non si capacitano ancora”, risponde Castellucci, ribadendo che “il Ponte era stato visto e studiato da tanti tecnici. E nessuno aveva evidenziato pericoli per la sicurezza dell’infrastruttura”. Anzi, l’ex amministratore delegato vuole invece sottolineare “gli importanti difetti e difformità di costruzione del Ponte che i tecnici hanno evidenziato”. Nella relazione sul crollo del ponte pubblicata il 25 settembre 2018, la Commissione Ispettiva del Mit sostiene però che la concessionaria “era in grado di cogliere qualitativamente l’evoluzione temporale dei problemi di ammaloramento, ma con enormi incertezze. Tale evoluzione, ormai già da anni, restituiva un quadro preoccupante, e incognito quantitativamente, per quanto concerne la sicurezza strutturale rispetto al crollo”. Da qui “emerge una irresponsabile minimizzazione dei necessari interventi, perfino anche di manutenzione ordinaria“. Mentre la perizia agli atti dell’inchiesta che sta conducendo la Procura di Genova sul crollo del ponte parla chiaramente di “difetti esecutivi” rispetto al progetto originario, ma anche di “degrado e corrosione” di diverse parti, dovute alla “mancanza di interventi di manutenzione significativi”. Perché, secondo i periti, “gli unici ritenuti efficaci risalgono a 25 anni fa”.

L’inchiesta sul crollo del Morandi ha portato poi all’indagine bis sul monitoraggio dei ponti da parte di Autostrade che parla di report su due viadotti falsificati o edulcorati. “Sono due dei nostri 1.943 ponti. E sono stati già ristrutturati“, si difende in questo caso Castellucci. “Ma fa male – prosegue – leggere di registrazioni clandestine tra colleghi, jammers usati per riunioni tecniche, di forzature verbali su temi che potrebbero coinvolgere la sicurezza”. A Castellucci il Corriere però non chiede conto delle 15 pagine di ordinanza del gip di Genova Angela Maria Nutini che raccontano le strategie, scientifiche, di inquinamento probatorio. I jammers, per esempio, che disturbano le frequenze dei telefonini per ostacolare le intercettazioni, sono stati acquistati secondo gli investigatori dalla Muteki srl per 60mila euro. “Emblematica – si legge nell’ordinanza – è la telefonata di Valentina Maresca (responsabile dell’ufficio legale di Spea, ndr) al legale rappresentante della Muteki srl per chiedergli se vi sia il modo di rintracciare il “disturbatore”: “Nel senso che l’altro giorno abbiamo usato il disturbatore e non si trova più… io l’ho dimenticato nella sala riunioni”. Possibile che i vertici non sapessero nulla?

Castellucci invece parla di “anticorpi” che non “siamo riusciti a creare” per “espellere questi elementi. Esiste una policy raccomandata: lasciare tutto tracciato per iscritto, anche i dissensi. La recente decisione di mettere online tutti i dati dei viadotti è un’altra decisione di trasparenza che ho indicato”, spiega l’ex ad. Che poi accusa anche “la confusione che in gran parte deriva da norme sovrapposte” e “situazioni nelle quali la costruzione (degli anni 60 e 70) non corrisponde precisamente al progetto”. “Sui due ponti in questione – sostiene – è stato l’elemento centrale”. C’è poi spazio anche per una domanda sui ricchissimi dividendi garanti agli azionisti. Secondo Castellucci, il merito è suo e non dei rincari delle tariffe: “La crescita di valore è stata dovuta soprattutto a progetti di sviluppo di grande qualità. Penso ad esempio alle autostrade urbane a Santiago del Cile, allo spettacolare turnaround di Aeroporti di Roma, al successo di Telepass. Le tariffe c’entrano poco”.

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