I fili d’acciaio presenti dentro i tiranti della pila 9 del ponte Morandi aveva un “grado elevato di corrosione“. Si erano consumati dal 50 al 100%. Spariti, in pratica. E la manutenzione “gli unici interventi efficaci risalgono a 25 anni fa”. Ciò che finora era sempre stato in parte asserito da relazioni di parte e ministeriali, stavolta è stato certificato dai tre periti nominati dal gip nella relazione del primo incidente probatorio, agli atti dell’inchiesta che sta conducendo la Procura di Genova sul crollo del ponte il 14 agosto 2018. E pensare che in un’intervista a Repubblica nel maggio 2019 Luciano Benetton aveva parlato di “una disgrazia imprevedibile e inevitabile”. Parole che intendevano in qualche modo sollevare la società Autostrade e che oggi sembrano in contrasto con la relazione dei periti.

Il fascicolo vede indagate 71 persone, insieme alle due società Autostrade e Spea. I reati, a vario titolo, sono di omicidio colposo, omicidio stradale colposo, disastro colposo, attentato alla sicurezza dei trasporti e falso.Nella relazione consegnata alla giudice Angela Nutini, si parla chiaramente di “difetti esecutivi” rispetto al progetto originario e di “degrado e corrosione” di diverse parti, dovute alla “mancanza di interventi di manutenzione significativi”. Secondo i periti, nelle parti esaminate “non si evidenziano interventi atti a interrompere i fenomeni di degrado”. Anzi, “gli unici ritenuti efficaci risalgono a 25 anni fa” si legge. In particolare per quanto riguarda il reperto 132 (l’ancoraggio dei tiranti sulle sommità delle antenne del lato Sud) – considerata dalla procura di Genova la prova “regina” perché è il punto che si sarebbe staccato per primo – è stato individuato nei trefoli “uno stato corrosivo di tipo generalizzato di lungo periodo, dovuto alla presenza di umidità di acqua e contemporanea presenza di elementi aggressivi come solfuri, derivanti dello zolfo, e cloruri”.

Ma non è solo l’assenza di manutenzione ad essere sotto esame. A peggiorare lo stato della struttura ci sarebbero anche difetti di esecuzione. “Alcune guaine – scrivono gli ingegneri – non sono iniettate del tutto o lo sono parzialmente e i trefoli possono essere estratti manualmente per questo motivo”. Dove sono emersi difetti di esecuzione, “i cavi secondari sono spesso liberi di scorrere: alcuni trefoli non sono stati trovati dentro le guaine. In generale i cavi secondari nelle guaine presentano fenomeni di ossidazione e, in alcuni casi, con riduzione di sezione, i quali hanno effetti diretti sulla sicurezza strutturale” dice la relazione. Gli esperti hanno valutato anche parti non crollate trovando “reti metalliche elettrosaldate” per contenere il distacco di calcestruzzo dalle stampelle e selle Gerber il cui “stato di conservazione è caratterizzato da un livello generalizzato esteso e grave di degrado“.

La società Autostrade, in serata, ha voluto precisare che, a suo giudizio “la relazione dei periti del gip non evidenzia situazioni di degrado che possano in alcun modo essere messe in relazione con una diminuzione della capacità portante del ponte”. Non solo. “L’analisi delle parti crollate ancora presenti al momento dell’inizio dell’incidente probatorio e delle parti non crollate ha messo in evidenza alcuni difetti solo localizzati, peraltro compatibili con l’epoca di costruzione”. Tali difetti “non sono in alcun modo connessi alla funzionalità dell’opera, erano già stati rilevati dai programmi di sorveglianza e in parte già oggetto di interventi di ripristino strutturale”.

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