La prima mossa del governo Conte 2 sarà sugli asili nido. “Non possiamo indugiare oltre”, ha scandito il presidente del Consiglio nel suo discorso alla Camera. L’esecutivo giallorosso dunque “si adopererà per finanziare le rette di asili nido e micronidi a favore delle famiglie con redditi bassi e medi dal 2020/2021 e ampliare l’offerta di posti soprattutto al Mezzogiorno”. Una promessa che arriva a due giorni dalla presentazione del rapporto di Save the children Il miglior inizio – Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita che ribadisce come oggi solo un bimbo su 10 riesca ad accedere al nido pubblico – ben sotto il target europeo del 33% – con picchi negativi in Calabria e Campania. Intervenire è una priorità, perché come da anni predica la sociologa Chiara Saraceno il periodo che va dalla nascita ai 36 mesi è cruciale nel perpetuare o ridurre diseguaglianze di partenza i cui effetti si faranno sentire per tutto il resto della vita, penalizzando i bambini cresciuti in famiglie disagiate.

Il nodo delle risorse – Ora l’impegno c’è: resta da vedere come il governo giallorosso troverà le risorse per mantenere le promessa. Stando ai dati Istat più recenti, nel 2016 la spesa impegnata dai Comuni per i servizi alla prima infanzia è stata di 1,4 miliardi. Il 19% è stato rimborsato dalle famiglie sotto forma di rette. La spesa pubblica dunque è stata di circa 1,2 miliardi per una copertura poco sopra il 10% dei bambini sotto i 3 anni, al netto dei servizi privati. Assicurare un posto nel nido pubblico a tutti comporterebbe dunque un maggiore esborso di circa 9 miliardi, senza considerare la copertura dell’azzeramento delle rette per le famiglie con redditi medio-bassi. E solo per raggiungere l’obiettivo fissato dall’Unione europea con il Trattato di Lisbona – abbastanza posti da coprire il 33% dei bambini sotto i tre anni – occorrono secondo l’Anci 9.064 nuove sezioni per una spesa di 2,2 miliardi. Per avere un termine di paragone basti dire che per il Bonus asilo nido introdotto nel 2016 e prorogato con l’ultima legge di Bilancio – fino a 1,500 al mese per 11 mensilità – sono stati stanziati in totale 300 milioni di euro. Le domande in quel caso non erano soggette a limiti di reddito.

I risparmi su quota 100 ormai sono impegnati – La Saraceno, esperta di welfare, parlando con ilfattoquotidiano.it aveva lanciato la proposta di dirottare le risorse ora destinate a quota 100 su servizi di qualità per la prima infanzia. Il governo M5s-Pd ora deve decidere se prorogare la misura introdotta per volontà della Lega che ha avuto scarso successo rispetto alle aspettative, considerato che stando ai dati Inps aggiornati al 6 settembre le domande di prepensionamento sono state 175.995 e i gialloverdi ne avevano preventivate per l’intero 2019 circa 300mila. Tuttavia i risparmi rispetto alle risorse stanziate sono già “impegnati“: quelli di quest’anno sono stati congelati a luglio per ridurre il deficit ed evitare la procedura di infrazione e le minori spese attese per il 2020 servono per ridurre l’ammontare di risorse da trovare per evitare gli aumenti Iva previsti dalle clausole di salvaguardia. Se la quota 100 fosse eliminata del tutto, tanto più gli oltre 8 miliardi stanziati per l’anno prossimo sarebbero preziosi per allontanare quella mannaia sui consumi.

Dove si investe di più ci sono più donne al lavoro – “Dobbiamo contrastare la falsa mitologia per cui la cura dei bambini e degli anziani possa ostacolare la partecipazione al mondo del lavoro”, ha detto Giuseppe Conte ai deputati presentando il programma di governo. E infatti l’esperienza degli altri Paesi europei mostra che dove, come in Francia, c’è un efficiente sistema di welfare familiare fatto di nidi pubblici, sussidi per le babysitter e aiuti per organizzare micro asili le donne con figli lavorano addirittura più delle altre. Al contrario l’Italia, con un tasso di occupazione femminile sotto il 50%, è fanalino di coda in Ue insieme alla Grecia. E le madri che continuano a lavorare spesso sono costrette al part time, cosa che riduce i redditi medi rispetto a quelli dei loro compagni.

Chi frequenta il nido recupera gli svantaggi – Quanto alle conseguenze per i bambini, la ricerca di Save the children conferma come quelli che hanno frequentato il nido a 4 anni e mezzo rispondano in maniera appropriata a più quesiti rispetto a quelli che sono rimasti a casa o sono andati in anticipo alla scuola dell’infanzia. Una differenza più marcata per quelli che provengono da famiglie in condizioni di svantaggio socioeconomico. Tra questi, coloro che sono andati al nido hanno risposto bene al 44% delle domande contro il 38% dei piccoli che non lo hanno frequentato. Si sono dimostrati più capaci di riconoscere i numeri e le lettere, per esempio. “Siamo lieti che il premier Conte abbia messo al primo posto dell’agenda del nuovo governo le misure in favore degli asili nido e l’impegno a eliminare le disuguaglianze che si formano già nei primissimi anni di vita, accogliendo l’appello che abbiamo lanciato per un piano di interventi immediato in favore della prima infanzia”, ha commentato Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, che presentando il rapporto aveva chiesto al nuovo governo di mettere tra le priorità “quella dell’investimento nell’infanzia a partire dai primi anni di vita, promuovendo in Italia un’Agenda per la prima infanzia, che preveda un piano organico di interventi di sostegno alla genitorialità, servizi educativi di qualità e accessibili a tutti, misure di welfare familiare, lotta alla povertà economica ed educativa, sostegno all’occupazione femminile e conciliazione tra lavoro e famiglia“.

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