Cultura

Memoria e bicicletta, il viaggio sulle strade della ritirata italiana in Russia. Il ciclista varesotto ricorda i 100mila soldati morti

Nell'agosto 1942 dalla spiaggia di Riccione Benito Mussolini inviò 230mila italiani ad aiutare la Wehrmacht nell’operazione Barbarossa contro i sovietici. Giovanni Bloisi 77 anni dopo da Kiev ha percorso 2700 chilometri in un mese per non dimenticare le conseguenze di quella spedizione. "Con me la gente si apriva mostrandomi i ricordi conservati: la bicicletta fa comunicare meglio di Internet"

di Francesco Zecchini

Agosto 1942, Benito Mussolini si trova in vacanza a Riccione. Nel frattempo, 230mila soldati italiani stanno raggiungendo il fronte orientale per aggiungersi al Corpo di Spedizione italiano in Russia che sta aiutando la Wehrmacht nell’operazione Barbarossa contro i sovietici. A 77 anni da quella data, il 65enne ciclista varesotto (di Varano Borghi) Giovanni Bloisi è partito per un viaggio che ha una sola meta: non dimenticare. Nonostante l’operazione per un infortunio al braccio dell’anno scorso, il “ciclista della memoria” (così lo ha soprannominato il giornalista varesino Matteo Fontana) è partito da Kiev ripercorrendo a ritroso la ritirata dell’Armata Italiana in Russia. Per scoprire e ricordare. Scoprire che gli italiani hanno lasciato un ricordo tutt’altro che negativo (“i russi ci chiamano ‘gentiluomini’, a dispetto di qualche furto di galline”, racconta Bloisi). E ricordare la tragica ritirata che portò alla morte 100mila soldati italiani. Dieci di questi però – a 77 anni di distanza – sono tornati: “Ho trovato – racconta commosso – 8 piastrine e 2 gavette con incisi i nomi. Nomi che hanno già permesso e che permetteranno di contattare i familiari”. Ma Giovanni non riesce nemmeno a toccare quei reperti: “Ci vorrà una settimana per far sì che passi l’emozione”, spiega. L’emozione per una scoperta non comune. Scoperta che si è accompagnata al ritrovamento di tanti reperti italiani, grazie all’empatia creatasi con il popolo russo: “Con me la gente si apriva mostrandomi i ricordi conservati. La bicicletta fa comunicare meglio di Internet”.

La memoria (riscoperta) degli orfani di Selvino
“Dall’età di 15-16 anni ho iniziato a chiedermi il perché delle guerre. Ho cominciato a leggere e sono stato alla scuola politica del Partito Comunista per conoscere meglio la storia”, racconta Bloisi. Poi l’iscrizione all’Anpi. E un sogno realizzato 12 anni fa: visitare tutti i campi di concentramento in bicicletta, “non come un turista”. Un’esperienza che da il la ad una serie di viaggi. Nel 2011 infatti la memoria parte da Genova (il primo tratto è in nave) sulle orme di Garibaldi e arriva a Roma con una lettera fatta consegnare all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Poi, nel 2017, Bloisi parte da Tradate (Varese) e arriva a Gerusalemme in bicicletta. L’obiettivo? Far ricordare il viaggio dimenticato dei bambini di Selvino (Bergamo). Una comunità di orfani della Shoah provenienti dai lager o da nascondigli in tutta Europa che furono alloggiati in una ex colonia fascista prima di tornare in Israele attraverso Cipro. E Bloisi si è recato nel loro kibbutz per incontrarli con figli e nipoti.

La storia del capitano Enrico Levi
Infine, la storia del capitano Enrico Levi. Unico cadetto esautorato dalla Marina italiana (in quanto ebreo), partì da Padova con altri cinque per raggiungere Monopoli e arruolarsi con gli inglesi. Ma in Puglia arrivò solo lui. Finita la guerra, Levi partì con un peschereccio portando clandestinamente i primi 37 ebrei in Israele. Traversata cui seguirono altri 34 viaggi con lo stesso scopo, tutti a buon fine. E Bloisi ha percorso gli stessi 800 chilometri dal Veneto alla Puglia in un viaggio per non dimenticare ‘benedetto’ anche dal sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Un viaggio durante il quale il ciclista ha conosciuto Romano Prodi: “Ero in tenda a Piangipane, in provincia di Ravenna. L’ex premier era al ristorante e si è accorto del mio accampamento. Ha voluto sapere tutto sulla mia missione: ho parlato per 40 minuti. Poi mi ha abbracciato”.

“Un russo che si fa chiamare Alessio Fiorentino”
L’ultima impresa è partita invece da Kiev. 2700 chilometri in un mese per raccontare (anche alle tre televisioni russe che lo hanno intervistato) la tragica ritirata italiana. “Ho incontrato i figli e i nipoti di quelli che vissero quelle battaglie. E mi sono accorto di quanto sia ancora radicata la memoria: prima di partire sono stato infatti contattato da Alessio Fiorentino, un giovane che avrebbe voluto incontrarmi a Mosca. Ma non parlava italiano”. E come si spiega il suo nome? “Fa parte di un’associazione – Forza Italia-Italian Group – che ha l’obiettivo di ricordare quella tragica guerra. E infatti Alessio Fiorentino – lo pseudonimo che usa – è il nome di un soldato italiano”. L’associazione accompagna il viaggio di Bloisi allertando i suoi membri che lo accolgono durante il tragitto: “Mi hanno aiutato anche perché erano stupiti dal fatto che i russi si sono aperti con me. Mi hanno spiegato che quando sono loro a fare le ricerche il risultato non è lo stesso”. E il motivo qual è? “Loro arrivano con i ‘macchinoni’ da Mosca, io in bicicletta dalla pianura”. E proprio dalla Russia arriva un’idea per il prossimo viaggio: “Sto pensando di andare a visitare tutti i campi dove sono stati internati i prigionieri italiani”. Ma c’è anche un altro progetto da realizzare: “Vorrei fare un viaggio attraversando tutti i luoghi delle stragi naziste: Boves (Cuneo), Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema”. Insomma, la memoria è pronta a ripartire. Sempre con quella bicicletta.

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