Ciò che in un primo tempo ha scosso maggiormente l’opinione pubblica a proposito della vicenda Bellomo non sono tanto le accuse, pur gravi, che la magistratura ha contestato (maltrattamenti ed estorsione). Piuttosto ha colpito il fatto che in questo caso non avremmo a che fare con uno dei tanti “guru” di una qualsiasi setta che plagia biecamente gli individui, prediligendo soggetti portatori di fragilità fisiche e psichiche, oppure incolti e creduloni che facilmente cadono nel gioco di marpioni con pochi scrupoli. Per l’accusa le vittime in questione sono donne adulte, cultrici del diritto, con solidi studi alle spalle e desiderose di diventare giudici, “arbitri in terra del bene e del male”.

Dopo la richiesta di arresto, egual stupore ha suscitato la lettura delle motivazioni con le quali i pm chiedono invece l’archiviazione del suddetto, adducendo che molti dei contatti intervenuti tra Bellomo e le studentesse non siano stati posti in essere in via unilaterale da parte dell’indagato, ma si siano iscritti nell’ambito di una rete di scambi connotata da reciprocità. Vittime di un despota? Oppure complici accondiscendenti e interessate? Le due verità, che paiono agli estremi, innescano il dibattito estivo.

E’ la psicoanalisi ad aver scoperto il meccanismo definito sin dai tempi di Freud transfert, che può in parte fornire una spiegazione a un atteggiamento nel quale l’imposizione di un volere padronale pare sfumare in un accettazione acritica da parte del sottoposto. Perché vi sia transfert alcuni elementi sono indispensabili: un detentore del sapere , meglio se possessore anche di un potere da un lato, un individuo in posizione di discente dall’altra parte. L’unione di questi fattori installa verso il detentore di queste doti una sorta di fiducia incondizionata, portando ad attribuirgli doti di valore, senso etico, affidabilità. Il “maestro”, ottenuta questa posizione, dovrebbe utilizzarla per spronare e valorizzare le doti del discente, mantenendo con rigore e riguardo la sua delicatissima posizione. Ciò mette in moto il desiderio, la forza, le motivazioni del soggetto. Questa è, in maniera ovviamante semplificata, l’essenza della nevrosi di transfert come ce la insegna la psicoanalisi.

Ricordo bene il mio vecchio insegnate di greco, persona dottissima e di saggezza sterminata. Il suo sapere su Omero non tramutò tutti noi in grecisti, ma seppe mettere in moto quelle leve della curiosità trasmettendo la passione per l’esegesi del testo, per la ricerca approfondita e per la ricerca di questioni apparentemente insondabili. Per noi lui era “il sapere”, era l’etica con le gambe. Per lui avremo fatto qualsiasi cosa. Da qualunque altro professore fossero venuti i medesimi consigli, subito sarebbero stati derubricati a formulette banali prive di validità. Non parliamo dunque né di sudditanza né di sottomissione volontaria, né di giuramenti fatti. Parliamo di quella insondabile modalità per la quale individui adulti, sani di mente, apparentemente dotati di libero giudizio, accettano imposizioni e regole che appaiono dissonanti con la loro etica di vita.

Dunque la verità non sta né nella parola vittima, né in quella di carnefice, ma in un punto mediano ove le differenze sfumano e i voleri del docente e del discente si intrecciano, sino a creare situazioni che da fuori appaiono o truffaldine o rivelatrici di una malcelata accondiscendenza da parte della vittima, ma che dall’interno possono essere il frutto di “uno stato soggettivo autoindotto, alimentato dall’autorevolezza dell’indagato, che non trova nel comportamento di Bellomo alcun concreto fondamento”, come i pm sostengono.

Questo meccanismo dà la cifra di tanta rituale ossequiosità dei sottoposti che notiamo quando entriamo in banca ed entra il direttore, delle riverenza che molti professionisti mostrano verso il loro capo. Ad un occhio non attento, solo le persone deboli o strutturalmente più fragili si immagina possano cadere vittima del plagio di un altro uomo tramite l’uso esclusivo della parola o del sapere.

Il transfert in realtà fa presa su letterati, incolti, ricchi e poveri. La sua capacità di agire sull’animo umano lo rende uno strumento che de facto può risollevare la vita di una persona se usato con il criterio dell’etica, specie in analisi, oppure generare dipendenza se malgestito. Io ho pagato caramente sulla mia pelle la contestazione a una modalità deleteria di esercitare il potere che un analista possiede, e su questo tornerò a breve.

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