La finale della Coppa del Mondo di calcio se la giocano americane e olandesi, ma la nazionale italiana, quella femminile, che ha saputo ispirare me all’orgoglio di essere italiano (e non sono il solo) c’è. Non esiste il discorso “lo sport deve restare fuori dalla politica o sociale o vattelappesca”, quando sei un personaggio pubblico hai il dovere di saperlo: non puoi stare sotto i riflettori a titolo personale. Quello che fai espande come una cassa di risonanza di cui è difficile contenere l’eco. Allora ho voglia di continuare a tifare le nostre ragazze, perché ciò che ho visto giocare in loro è quello che serve.

Le ho viste combattere, mordere l’aspirazione di riuscire come non vedevo da tempo. Non le ho mai viste simulare chissà quale amputazione per un contrasto di gioco, mai perdere tempo per lasciare che il vuoto della melina si mangiasse lo spettacolo, mai violare lo sport con quella vergogna del fallo tattico che è solo precetto di disonestà, mai viste comportarsi da uomini del calcio. Le ho ammirate comportarsi da donne e come uomo le ho stimate, invidiate, elogiate con i miei figli (maschi). E tutto questo non può essere un fatto privato, ma per chi sceglie di vedere ed accorgersi che il cuore espresso in campo, i polmoni bruciati all’ultimo fiato, gli occhi ad arpionare anche l’ultimo assalto… sono qualcosa che all’orgoglio di questo paese manca.

Sara Gama, fascia da capitana, pelle scura, accento del nord-est, italiana, davanti alle sue compagne e al Presidente Mattarella pronuncia parole che non sono circostanza e legge il suo numero di squadra declinato nell’Articolo 3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…”, e prosegue “E’ compito della Repubblica…”, esita e aggiunge “Che siamo tutti noi!”.

Inaspettato e quindi ancora più bello. Ma mai senza una ragione precisa. Grazie Presidente per averci accolte di nuovo. E con quel sorriso orgoglioso che ci ha fatte sentire a casa. #RagazzeMondiali

Pubblicato da Sara Gama su Giovedì 4 luglio 2019

Ecco perché riscopro la bellezza dello sport come disciplina educativa, perché quel “noi” sono io e chiunque decida di esserlo in questo paese dove le lamette da barba per uomini sono tassate al 4% e gli assorbenti al 22%, dove un uomo nel mondo dello sport è riconosciuto professionista e una donna no, dove sul mondo del lavoro, e non solo, c’è ancora troppo divario di trattamento e di stipendio. Non è un caso se chi parte svantaggiata dalla nostra cultura ancora impregnata di maschilismo becero è la stessa che ci dà una lezione. E ha l’umiltà per non pretenderne il ruolo, ma ha il coraggio per incarnarlo e non tirarsi indietro. E tutto questo non può essere solo una partita di calcio. Grazie ragazze!

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