La frontiera come spazio di traffico di merci e transito di essere umani. Il Brennero come spazio in cui tradizione, natura, modernità e globalizzazione si fondono creando un paesaggio asettico e incontaminato in cui l’arena dei media e della propaganda politica fa da eco a un’invasione che non esiste e che forse mai avverrà. Il muro minacciato dall’Austria e mai costruito è l’oggetto di ricerca del documentario presentato, non a caso, al 67° festival del cinema della montagna di Trento, dal titolo The Border Fence, “la difesa del confine” del documentarista austriaco Nikolaus Geyrhalter (autore nel 2005 del solido e spiazzante Our daily bread, “Il nostro pane quotidiano”).

La notizia che proprio nella primavera del 2016 ha scandito insistentemente il flusso informativo della cronaca europea sulle politiche di immigrazione, ha delineato le derive sovraniste da parte dei rigorosi cugini austriaci e la vittoria della cosiddetta “paura dei piccoli numeri”: infatti in quel confine nel 2017 sarebbero passate illegalmente 7.406 persone, invece delle 11.812 del 2016.

Geyrhalter non si sofferma sull’evento mediatico, che nel documentario viene ripreso sempre attraverso il dispositivo televisivo, ma si avvicina a lungo agli attori che vivono direttamente il passo del Brennero: dalla conferenza stampa della polizia tirolese che annuncia in modo grottesco e impacciato la costruzione di un muro di circa 370 metri ai diversi punti di vista di chi lavora e vive sul confine italo-austriaco. In un flusso continuo di persone e auto che attraversano il confine dalla strada principale, ai posti di blocco che vengono ristabiliti con dei container pronti ad accogliere il flusso, le testimonianze di un prete, una casellante, una barista si alternano a quelle di alcuni migranti africani che lavorano in un cantiere lì vicino, in uno spazio in cui la presenza di un’invasione sembra un’assurda chimera mediatica e nel quale la mancanza di un confine effettivamente dialogante al di là di merci e turisti sembra invece il vero reale limite.

Un tipico contadino austriaco che vive sperduto tra le montagne del confine infatti si lascia fuggire l’osservazione che sembrerebbe banale, ma che è invece acuta, di come gli italiani siano più attenti all’allevamento accogliendo le bestie che lui alleva liberamente sui prati, alludendo a quell’idea di mercato transnazionale che sarebbe la reale ricchezza di quello spazio e delle due nazioni. Eppure il Brennero è un incrocio tra culture locali e linguistiche differenti, ma nel documentario di Geyrhalter questo passa in secondo piano o sembra non essere rilevante per descrivere il confine.

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