Un seme, punto d’arrivo di un percorso iniziato nei giorni successivi alla strage che si consumò lungo la Pedegarganica il 9 agosto 2017 e allo stesso tempo l’inizio di un altro finalizzato a mettere in rete le associazioni attive sul territorio. A meno di due anni dai 4 morti ammazzati alle porte di San Marco in Lamis, in provincia di Foggia, il comune che pianse Luigi e Aurelio Luciani, i contadini caduti sotto i colpi di kalashnikov dei killer della mafia foggiana entrati in azione per uccidere il boss Mario Luciano Romito, ha un presidio di Libera.

“Nasce oggi, ma è quella la scintilla che ha unito chi già si impegnava sul territorio”, dice il referente provinciale Sasy Spinelli a Ilfattoquotidiano.it. Essere riusciti a istituire un presidio nella comunità punta nel vivo dalla forza dalla criminalità del Gargano – perché nell’estate di due anni fa i clan smisero di uccidersi tra di loro – è un atto fortemente simbolico: a San Marco in Lamis, infatti, la mafia ha dimostrato di non guardare in faccia nessuno e di poter colpire chiunque.

Come dice la moglie di Luigi Luciani, Arcangela, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano: “Ho sempre pensato che la criminalità fosse diffusa, ma fuori da casa mia. Come fosse qualcosa che non mi riguardava, nella convinzione che “finché si sparano tra loro…”. Oggi questa frase che ho ripetuto tante volte mi fa orrore. Quando racconto la mia storia, ora, lo faccio per far capire che la mafia esiste e che uccide”. Quella mattina, al posto di suo marito e di suo cognato, ha ripetuto “poteva esserci chiunque”. Per questo, “dobbiamo essere uniti: non solo noi cittadini, ma anche le istituzioni, lo Stato. Per fare qualcosa prima che altro sangue di innocenti venga sparso sulla nostra terra”.

Ecco quindi il presidio di San Marco in Lamis, a pochi giorni dall’ultima operazione della Dda di Bari che ha decapitato i vertici di uno dei clan della mafia foggiana, ancora “tricefala” eppure sempre più unita nel fare affari con la droga in arrivo dai Balcani. Se ne parla, ora, mentre fino al quadruplice omicidio di due estati fa i media ignoravano la ferocia di una criminalità in grado di lasciare sull’asfalto 300 morti in trent’anni, oltre l’80% dei quali ancora in attesa di giustizia. E anche da Roma la reazione arrivò solo in seguito alla morte di innocenti, dopo anni in cui le forze dell’ordine erano state lasciate in prima linea con pochi uomini e mezzi.

Ma serviva soprattutto – lo disse ‘a caldo’ la vicepresidente nazionale di Libera, Daniela Marcone, foggiana anche lei – una “resistenza” della società civile. In una delle province più estese d’Italia, quello di San Marco è il quarto presidio dopo Foggia, Cerignola e lo ‘scolastico’ di Vieste. Ne faranno parte una trentina di realtà, tra i quali rappresentanti di Arci, Azione Cattolica, Agesci e alcuni famigliari dei fratelli Luciani. “C’è la necessità di raccontare gli esempi positivi del territorio, perché non si parli del Foggiano solo per i fatti di cronaca nera. È così che si fa capire a tutti che esiste un’alternativa. A San Marco si è compreso che insieme si fa più rumore”, spiega Spinelli. Ci sono voluti due morti innocenti e quello che il referente provinciale di Libera chiama uno “strappo” per la comunità: “Luigi e Aurelio Luciani erano due contadini, facevano un lavoro onesto e sono stati colpiti. Erano un esempio: per vivere si sporcavano le mani nel vero senso della parola. Da oggi un presidio di Libera porta il loro nome – conclude – Vuol dire che non hanno solo seminato nei campi, ma anche nelle coscienze”.

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