Mamma, cos’è un pompino?”. Non proprio una domanda tipo: “Posso andare a mangiare una pizza sabato sera?”, questa che si è sentita fare la mia amica, di punto in bianco, dal figlio 13enne. Avrebbe potuto fingere di non sapere, demandare al marito, edulcorare la spiegazione con frasi a effetto decontestualizzate ma che, su un adolescente smanioso di saper consultare il manuale di istruzioni del suo corpo in mutamento, avrebbero causato solo più confusione e la certezza che la volta dopo, quella risposta l’avrebbe cercata altrove. La mia amica, invece, ha scelto la strada più naturale, ma non meno complicata, e gli ha spiegato tutto. Ma proprio tutto. In modo chiaro e onesto e ha scoperto che quando c’è amore e apertura, non c’è niente di cui non si possa parlare a un figlio. Soprattutto quando si ha la fortuna che sia lui a chiedertelo.

Molti dei genitori della mia età, quelli che navigano nei 40, non hanno ricevuto alcun tipo di educazione sessuale in casa. Chi aveva genitori ultra modo cattolici coi quali in casa si parlava di tutto tranne di quello (salvo poi vederli sfornare fratelli in serie spediti direttamente dallo Spirito Santo), chi li aveva molto giovani e inconsapevoli dell’importanza di trasmettere certe informazioni cruciali, chi aveva quelli che “la vita è una giungla e ognuno deve vedersela da sé”. Il risultato era una mappa anatomica dai contorni offuscati e dubbi da dissipare sperando nella divulgazione scientifica de Le Ore.

Alcuni decenni dopo la situazione non è cambiata e i ragazzini di adesso non hanno idee più chiare, nonostante sulla carta l’accessibilità delle informazioni sia di gran lunga più estesa che ai nostri tempi. Se possibile, i ragazzi sono ancora più spaesati e insicuri rispetto al sesso, perché oltre a non poterne parlare in famiglia o con un adulto che possa veicolare e tradurre le incertezze in risposte concrete, hanno davanti video e immagini fuori misura, performance talmente iperboliche da generare ansia da prestazione sia nei ragazzi che nelle ragazze.

Molti non conoscono nemmeno le nozioni di base, anche perché solo un 20% si sente a proprio agio a parlare di sesso in famiglia, mentre il 45% non ha mai neanche parlato di contraccezione, né di malattie sessualmente trasmissibili con uno dei genitori. Un adolescente su dieci crede che il coito interrotto protegga da malattie, mentre un ragazzo e una ragazza su cinque crede che la pillola anticoncezionale difenda dalle infezioni.

Sembra incredibile che in una società dove i genitori competono per mantenersi giovani, dove invecchiare sembra bandito, dove tra figli e genitori spesso c’è un rapporto più simile ad amici, il sesso sia ancora uno spauracchio che ci fa tornare piccoli, senza parole, disarmati. E i nostri figli che crescono, avviluppati in un cambiamento enorme, presi in contropiede tra peli che spuntano e protuberanze sempre più marcate, rappresentano uno specchio nel quale noi, per primi, non sappiamo da che angolo guardare.

Parlare di sesso ci forza a vederli in un altro modo, di considerarli per la prima volta al nostro pari, adulti con una propria coscienza, che sulle nostre parole (o i nostri silenzi, mille volte più comodi) poseranno le loro fondamenta. È una responsabilità che forza a mettere in discussione anche la propria vita sessuale forse non più così soddisfacente o vissuta passivamente per colpa di un retaggio famigliare e sociale, in cui il sesso era funzionale alla procreazione e poco più.

C’è poi la grande assente, la scuola. L’educazione sessuale, obbligatoria in Germania e Danimarca (ma anche in altri Paesi europei) rispettivamente nel 1968 e 1970, in Italia è trattata poco e male. Si predilige, anche nei gradi secondari, l’insegnamento della religione cattolica piuttosto che fornire notizie indispensabili alla salute degli adolescenti. E quando le lezioni ci sono, il più delle volte vengono tenute da docenti improbabili o affrontando l’argomento con un approccio di stampo moralistico.

Non è facile, così come non lo è stato crescerli fino a qui. Solo perché ci sembrano grandi e ormai autonomi non vuol dire che non abbiano più bisogno di noi. È il momento di andare oltre le proprie barriere mentali, altrimenti tanto vale lavarsene le mani e delegare tutto a Pornhub.

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