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Julian Assange, quando l’arma del delitto è la libertà di espressione

Julian Assange, quando l’arma del delitto è la libertà di espressione
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Mission accomplished, missione compiuta. Dopo sette anni. Il Metropolitan Police Service ha dato esecuzione al mandato di arresto emesso il 29 giugno 2012 dalla magistratura di Westminster. La lentezza della giustizia ha contaminato anche la Gran Bretagna? Niente affatto, ci si trova soltanto dinanzi a uno dei più controversi casi giudiziari in cui l’arma del delitto è la libertà di espressione.

Il blitz in una sede diplomatica londinese, l’Ambasciata ecuadoregna: sette uomini hanno caricato il “bandito” – urlante e recalcitrante – su un furgone blindato della Polizia. L’uomo aveva con sé soltanto un libro. Un’operazione non cruenta, né successiva a una lunga caccia. Tutto il mondo sapeva che quell’uomo si trovava lì. Lui viveva come in una sorta di Truman Show, piantonato fisicamente, sorvegliato da telecamere, tenuto d’occhio da sofisticate dotazioni satellitari cui non sfuggiva il minimo dettaglio di tutta quell’area, inibito anche solo dall’ipotizzare una fuga sotterranea per il costante scandaglio di ogni eventuale cunicolo in zona. Come un pesce in una boccia di vetro ha aspettato che succedesse qualcosa, nella consapevolezza che non sarebbe mai capitato quel che auspicava.

Julian Assange è stato arrestato. L’attivista e portavoce di Wikileaks, vistosi revocare l’asilo politico, è finito in manette e “tradotto” negli uffici di una stazione della polizia metropolitana. Le notizie rese pubbliche dalla organizzazione internazionale hanno contribuito a cambiare la storia del mondo e adesso viene presentato il conto a chi ha maggiormente contribuito alla raccolta, alla verifica di attendibilità e alla pubblicazione di documenti riservati di natura istituzionale, governativa, militare, industriale e bancaria. L’obiettivo di Wikileaks è sempre stato quello di dar voce a chi non aveva modo e forza di strillare verità sottaciute, ingiustizie ed episodi di malaffare. Una missione davvero difficile, fortemente osteggiata dai poteri forti che – è fin troppo ovvio – si sentono minacciati da simili incontrollabili attività.

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In parecchi hanno ipotizzato che lo sblocco della situazione sia da imputarsi a pressioni internazionali e qualcuno ha pensato al peso di un possibile intervento della squadra di Trump. Lenin Moreno, presidente dell’Ecuador, ha rimarcato via Twitter che il provvedimento di revoca è riconducibile a una decisione sovrana, assunta dopo che Assange si era reso protagonista di ripetute violazioni alle convenzioni internazionali e ai protocolli di vita quotidiana.

Combinazione vuole che l’arresto sia avvenuto proprio il giorno successivo la divulgazione – naturalmente ad opera di Wikileaks – di notizie e prove di una imponente operazione di spionaggio gestita dal governo ecuadoregno in barba a qualsivoglia anche elementare diritto civile. Da circa un mese Julian Assange – privato della possibilità di consultare Internet e di ricevere visite – era stato letteralmente isolato dal mondo.

L’estradizione è vicina. Resta di sapere quale ne sia la destinazione. Stati Uniti per le mille accuse di più vario genere o Svezia dove incombe una incriminazione per violenza sessuale? Ancora non si sa. Nel frattempo la Metropolitan Police, in perfetto “Battisti-style”, ha diffuso il video della cattura del “latitante”. Se noi italiani pensavamo di avere l’esclusiva della gogna televisiva, ci si sbagliava.

@Umberto_Rapetto

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