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Buchi neri, previsti da Einstein 100 anni fa. Da Hawking in poi ricerca continua

Finora sono stati oggetti cosmici misteriosi e le immagini che esistevano erano solo ricostruzioni, illustrazioni artistiche. Ma adesso le cose potrebbero cambiare: poterli fotografare significa non solo avere la prova diretta della loro esistenza, ma poter osservare che cosa accade quando la materia si avvicina a un ambiente così estremo, dove la forza di gravità è enorme
Buchi neri, previsti da Einstein 100 anni fa. Da Hawking in poi ricerca continua
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Nel giorno in cui i fisici e gli astrofisici di tutto il mondo hanno ancora le lacrime agli occhi per la prima foto di un buco nero vale la pena ricordare che furono previsti un secolo fa da Albert Einstein. Finora sono stati oggetti cosmici misteriosi e le immagini che esistevano erano solo ricostruzioni, illustrazioni artistiche. Ma adesso le cose potrebbero cambiare: poterli fotografare significa non solo avere la prova diretta della loro esistenza, ma poter osservare che cosa accade quando la materia si avvicina a un ambiente così estremo, dove la forza di gravità è enorme. La prima conferma dell’idea di Einstein risale al 2016, quando proprio la collisione di due buchi neri avvenuta un miliardo di anni fa ha generato il primo segnale di un’onda gravitazionale. Era un’eco lontana, ma sufficiente a mettere fine a lunghi anni di discussioni e dibattiti scientifici sull’esistenza o meno dei buchi neri.

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Sebbene siano stati a lungo invisibili, molti gruppi di ricerca hanno elaborato ipotesi sul loro comportamento. Nel 1974, per esempio, Stephen Hawking aveva previsto che i buchi neri perdono progressivamente massa ed energia fino a svanire nel nulla come se ‘evaporassero’. Molti anni più tardi si è previsto che il buco nero che si trova al centro della Via Lattea, chiamato Sagittarius A*, potrebbe entrare in collisione e fondersi con quello che si trova al centro della galassia più vicina, Andromeda.

Mancano miliardi di anni prima che questo accada, sicuramente i due buchi neri porteranno con sé le loro galassie. Grazie alle ricerche dell’italiano Fabrizio Tombesi, che dagli Stati Uniti è recentemente rientrato in Italia, si sa che i buchi neri non sono soltanto il simbolo di fenomeni catastrofici: contribuiscono, per esempio, alla formazione di nuove stelle, rinnovando le galassie. Di certo i buchi neri sono straordinari laboratori di fisica, come hanno dimostrato le osservazioni fatte con i satelliti Agile, dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) Fermi della Nasa e al quale l’Italia partecipa in modo importante con Asi, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). L’orizzonte degli eventi, ossia il confine oltre il quale più nulla riesce a fuggire dai buchi neri è sempre stato un campo di ricerca tanto affascinante quanto difficile. È il limite di quella regione dello spaziotempo dalla quale non è possibile ricevere informazioni e da cui né la materia né la luce possono sfuggire. Appena fuori dall’orizzonte degli eventi, c’è una regione in cui le particelle di luce (fotoni) seguono orbite instabili, che dipendono dalle caratteristiche del buco nero. Soltanto adesso diventa possibile osservare direttamente questi oggetti, nei quali la fisica è spinta a condizioni estreme.

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