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Congresso delle famiglie, i docenti dell’università di Verona si dissociano. E anche noi

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“L’Università non fa politica”. Sono parole ricorrenti nell’Università della governance neoliberista, dove il processo di costruzione del sapere scientifico è considerato neutro e il compito formativo degli Atenei si riduce a sfornare professionisti su misura per il mercato del lavoro del momento.

Sulla “neutralità” dell’Università si è giocata lo scorso maggio a Verona la vicenda del convegno sui richiedenti asilo Lgbt (evento legato a un progetto di rilevante interesse nazionale), rinviato per accuse provenienti da gruppi di destra che ritenevano l’Università colpevole di sperperare denaro pubblico e di contrastare, attraverso le ricerche sulle persone migranti, le politiche restrittive del governo.

Sempre all’Università di Verona, oggi vediamo finalmente accadere qualcosa di diverso in occasione del XIII World Congress of Families (Wcf), che si svolgerà nella città scaligera dal 29 al 31 marzo e che è promosso da una rete mondiale di soggetti impegnati a far implementare in Europa un’agenda ultraconservatrice di politiche familiari e riproduttive. I docenti del dipartimento di Scienze umane si sono fatti promotori di un documento che critica la pretesa scientificità delle teorie sulla famiglia, l’omosessualità, l’aborto, sostenute dai relatori del congresso. Il documento ha trovato il sostegno in tutti i dipartimenti e tutte le aree disciplinari, raccogliendo 672 firme solo tra il personale dell’ateneo veronese, strutturato e precario.

Nel documento si sottolinea la distanza della comunità scientifica da alcune affermazioni espresse da organizzatori e relatori. Tra queste, “l’affermazione del creazionismo; l’idea che la natura abbia assegnato a uomini e donne differenti destini sociali e diverse funzioni psichiche, che identificano la donna in un ruolo riproduttivo e di cura; l’idea che il lavoro fuori casa delle donne, l’esistenza del divorzio e della possibilità di abortire siano cause del declino demografico; l’affermazione che una coppia di genitori dello stesso sesso pregiudica il corretto sviluppo dei figli; l’equiparazione tra interruzione volontaria di gravidanza e omicidio; la patologizzazione dell’omosessualità e della transessualità; la promozione delle ‘terapie riparative’ per le persone omosessuali”.

I relatori del Wfc propongono una visione orientata a promuovere politiche di welfare che escludono o marginalizzano tipologie familiari non eteronormate, a impedire l’autodeterminazione delle donne, a considerare gli orientamenti non eterosessuali e le diverse espressioni dell’identità di genere come delle patologie e a negare diritti alle soggettività Lgbtqi+. Va ricordato che in diversi Paesi il Wfc è stato accompagnato da azioni di lobbying volte a far approvare specifiche politiche familiari di questo orientamento.

Come coordinamento delle ricercatrici e dei ricercatori precari/e, ci uniamo nella denuncia dell’infondatezza scientifica delle teorie promosse dagli organizzatori del Congresso e ribadiamo che il sapere non è mai neutro. E’ necessario, invece, prendere posizione e costruire anticorpi contro ideologie reazionarie come quelle che si stanno diffondendo in Europa e non solo. Con la scelta di opporsi al Wcf, l’Università di Verona ha recuperato il ruolo che le è assegnato come istituzione sociale, il cui dovere è, come ricorda l’Unesco, “promuovere, attraverso l’insegnamento e la ricerca, i principi della libertà, della giustizia, delle dignità umana e della solidarietà” e quindi a contrastare ogni azione che maschera come verità scientifiche credenze personali o religiose e che nega dignità e diritti ad alcune categorie di persone e di famiglie.

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Ci piacerebbe che anche il ministro Marco Bussetti, che invece parteciperà come relatore al Congresso, si ricordasse che il ruolo istituzionale che ricopre gli impone un diverso atteggiamento nei confronti di coloro che promuovono campagne pseudoscientifiche per demonizzare le persone Lgbtqi+ e i diritti civili delle donne, quali aborto e divorzio, presentandoli come una minaccia per i bambini e le nostre società. La scuola e l’università sono luoghi aperti al dialogo, ma sui diritti, la libertà e l’antifascismo non si discute!

Come ricercatori e ricercatrici, studenti e studentesse, docenti e precari/e universitari/e continuiamo a rivendicare spazi, tempi e finanziamenti per percorsi di studio e ricerca liberi, critici e laici, e lottare per mantenere l’Università pubblica uno spazio democratico e aperto alle differenze.

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