La recente vicenda del rimbrotto da parte statunitense nei confronti del governo Conte per la firma del Memorandum of Understanding ci rimanda a tempi oramai sorpassati. L’amministrazione del bugiardo patologico e razzista Donald Trump (cit. Bernie Sanders), dopo aver risuscitato la dottrina Monroe per riprendersi il Venezuela e le sue risorse petrolifere e di altro genere, vorrebbe imporre modelli obsoleti di sottomissione anche al governo italiano. Quest’ultimo sarebbe reo, a dire degli Stati Uniti, di un atteggiamento eccessivamente disinvolto nel rapporto con la Cina popolare, nell’ambito dell’iniziativa della nuova Via della Seta, che offrirebbe importanti opportunità di cooperazione bilaterale e multilaterale.

Pare che la Lega sia spaccata fra un’ala ossequiosamente filo-atlantica, capeggiata dallo stesso Matteo Salvini – che sembrerebbe stare frettolosamente smettendo i panni del filorusso per indossare quelli consueti, e tranquillizzanti per i padroni atlantici, del servitore dell’amministrazione di Washington – e una invece più aperta a una proficua collaborazione con Pechino. Il Movimento Cinque Stelle invece, per bocca del Sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, recentemente intervistato al riguardo dal Fatto, mantiene una condivisibile posizione di autonomia.

Ancora abbastanza imperscrutabile la posizione del ministero degli Esteri e del suo titolare Enzo Moavero Milanesi, di cui è nota la tradizionale osservanza atlantica. Rifondazione Comunista, con il segretario Maurizio Acerbo e il responsabile esteri Marco Consolo, ritiene che le pressioni statunitensi siano del tutto inaccettabili. Occorre augurarsi che da tale contesa emerga vittoriosa la posizione più sensibile ai reali interessi del nostro Paese che, su questo come altri argomenti, non hanno nulla in comune con le antiquate e per molti versi patetiche nostalgie imperialistiche di Trump e del pacchetto di autentici delinquenti che sono i suoi consulenti in materia, a partire dal pregiudicato Elliott Abrams, da molti decenni architetto di colpi di Stato e massacri in America Latina.

Ci fa onore il rifiuto di riconoscere l’autoproclamato Juan Guaidò, che in Venezuela è oramai un flop evidente a tutti, perfino ai suoi padrini statunitensi e ad altri leader dell’opposizione, tanto è vero che gli Stati Uniti hanno deciso di passare ad atti di aperto terrorismo, come il sabotaggio informatico delle centrali elettriche del Paese.

Ci farebbe altrettanto onore insistere su di un rapporto aperto e costruttivo con la Cina, Paese oggi all’avanguardia in materia di tutela ambientale – come dimostrano i risultati raggiunti sul piano interno, con il cielo di Pechino tornato blu come un tempo e i lusinghieri record nel campo delle energie alternative – e sul piano internazionale, con l’intransigente difesa degli accordi di Parigi sul cambiamento climatico. Paese peraltro che ha abbracciato, con il Rapporto del presidente Xi Jinping all’ultimo Congresso del Partito comunista cinese, posizioni estremamente avanzate dal punto di vista del diritto internazionale, con il ricorso a un concetto estremamente innovativo e addirittura rivoluzionario, come quello del “futuro condiviso dell’umanità”.

Un’Italia che sappia progressivamente affermare la propria indipendenza sul piano internazionale si troverebbe in condizioni migliori anche per portare avanti campagne non strumentali sul tema dei diritti umani, che subiscono oggi pesanti violazioni in quasi tutti gli Stati del pianeta, a cominciare dagli stessi Stati Uniti con le misure di Trump a danno dei migranti, lo smembramento delle famiglie, gli attacchi alle minoranze etniche oggetto di sistematiche politiche di racial targeting – spesso omicida – da parte delle cosiddette forze dell’ordine.

Una posizione di effettiva indipendenza, suggellata dalla firma del Memorandum e dall’apertura di numerosi tavoli di incontri e cooperazione con la Cina popolare, consentirebbe al nostro Paese anche di far valere, senza alcun complesso di inferiorità e alcuna autocensura, le perplessità che sussistono nei confronti di alcuni aspetti delle politiche cinesi in materia di diritti umani, che continuano a fornire qualche elemento di preoccupazione pur in presenza di un Piano in materia di diritti umani piuttosto avanzato (e che occorre augurarsi le autorità di Pechino sappiano applicare con coraggio e senza remore). Così come tale indipendenza è indispensabile per perseguire effettivamente la tutela dei diritti umani in numerose altre situazioni (Turchia, Egitto, Yemen, Brasile, Palestina, ecc.) dove invece l’Italia continua a sostenere regimi autoritari, anche con l’invio di forniture belliche e cospicui finanziamenti.

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