Da qualche anno l’8 marzo ha ritrovato la propria origine politica. Si parla di differenza di classe, razza e genere. Nessuna celebrazione vuota, nessuna festa dai contorni superficiali, salvo per quelle organizzate da istituzioni varie. Quello che ci importa è chiarire che le lotte delle donne hanno assunto più consapevolezza.

Le donne sono forza lavoro, spesso sottopagate o pagate in nero, con contratti a scadenza prestampata o dimissioni in bianco per quelle che devono tranquillizzare i datori di lavoro che giammai le vorrebbero incinte. Come se a pagare la maternità fossero loro e non la previdenza sociale. Le donne hanno bisogno di reddito, casa, maggiore autonomia decisionale.

Una donna senza un reddito né una casa potrà mai lasciare un marito violento? Sapete quante donne non si separano proprio perché sono dipendenti economicamente? E su questo ovviamente lo Stato non fa niente, ritenendo che basti la repressione a punire chi ti ha già ucciso a soddisfarci tutte.

Se non abbiamo un reddito non abbiamo neppure abbastanza autonomia per poter occupare lo spazio pubblico. Non possiamo parlare ad alta voce. Tante non potranno permettersi il lusso di partecipare alla politica attuale per poter far sentire la propria voce. Ecco perché lo sciopero è uno strumento importante.

Il Movimento per lo sciopero femminista ha origine in Polonia, nel 2016. Centomila donne scesero in piazza contro il divieto di aborto. Dopo un po’ quella ribellione riguardò l’Argentina, poi il Brasile, la Turchia, il Perù, Stati Uniti, Italia, Messico, Cile. Gli slogan ripetono lo stesso concetto: #NosotrosParamos, #WeStrike, #VivasNosQueremos, #NiUnaMenos,#TimesUp, #Feminism4the99, #NonUnaDiMeno. Il nuovo femminismo parla un linguaggio meno accademico e più vicino alle lotte operaie di molti anni fa.

Siamo noi, le precarie, le lavoratrici prive di possibilità di progettare il futuro, quelle che non sono mai state e mai saranno ancelle del capitalismo, ad aver cambiato quel linguaggio per condurlo a rappresentare le nostre richieste.

Parla Viola, precaria, cameriera part time, con una laurea e un master, e sta pensando di emigrare, come tantissime altre hanno fatto prima di lei.

Parla Emilia, sex worker, videocam girl, categoria oggetto di milioni di polemiche, specie in questi giorni, e lei dice che l’8 marzo sciopererà. Sul suo canale video metterà un banner per dire perché è assente e spera che altre la seguiranno. Allo stesso modo C. non venderà servizi sessuali a nessuno. Lo sciopero vale anche per lei. Lei infatti scrive: “Con lo sciopero dell’8 marzo io intendo dire proprio questo: il mio è un lavoro e posso decidere di non svolgerlo se non voglio. Quel giorno non lo svolgerò. Non venderò servizi sessuali, non intratterrò nessuno con performance video e mi dedicherò solo a me stessa come farebbe qualunque lavoratrice in pausa politica. Vorrei invitare anche le altre, le mie colleghe, a fare lo stesso. Fermiamoci per un giorno e rivendichiamo i nostri diritti”.

Parla Mina, donna trans che non riesce a trovare un lavoro decente da anni solo perché trans, perché la società è ancora lì a dividere i lavori da uomini e quelli da donna e la transfobia causa gravi problemi di percezione visiva e mentale in quelli che non riescono a vedere quel che Mina è realmente: una donna, come molte altre ma con molti più problemi di quanto altre non abbiano. Problemi derivati anche dal fatto che certe femministe (terf- femministe radicali trans escludenti) non fanno che insultarle e stigmatizzarle negando loro il diritto ad essere quel che sono.

Parla S., migrante e badante a tempo pieno anche se pagata malissimo e alienata per il fatto di dover lavorare 24 ore su 24. Lei non potrà scioperare ma ha promesso che rallenterà il proprio lavoro più che può e chiederà almeno un’ora per poter uscire a passeggiare con altre colleghe. Delle badanti non si parla mai a meno di non santificarle o demonizzarle perché trattano bene oppure male gli anziani a loro affidati. Eppure dal badantaggio nasce la “sindrome dell’Italia”, una categoria etno-psichiatrica segnalata da chi ha preso in cura pazienti rumene di ritorno da anni di lavoro come badanti in Italia.

E’ una malattia che coinvolge le persone che sono costrette a restare nel proprio ambiente di lavoro, isolate da tutto, senza poter allontanarsi neppure la notte, e tutto ciò è ingiusto. Eppure nessuno ne parla. Pensano anzi che tali donne dovrebbero ringraziarci per l’opportunità di schiavitù che abbiamo loro imposto. Ma in altri Paesi non si fa così. Per esempio: in Inghilterra i turni da badante con esperienza sono di sette ore ciascuno e una giornata di assistenza è divisa in tre turni. La paga è di 11/12 sterline l’ora e la persona che lavora ha un corretto rapporto con il mondo circostante e sicuramente non vivrà nella frustrazione più totale che può anche sfociare in atteggiamenti esasperati. In altri Stati europei per fare la badante devi avere una sorta di diploma ma poi, anche lì, le ore di lavoro sono regolari e i turni di notte o i festivi sono pagati di più, 12/14 euro l’ora. In Italia i datori di lavoro sono anche dediti a molestie, ricattano le lavoratrici per via del permesso di soggiorno legato al lavoro, le trattano da schiave.

Le altre donne che non hanno nulla da dire in proposito dovrebbero chiedersi il perché. La nostra emancipazione non può essere davvero considerata tale se deleghiamo il lavoro di cura alle badanti straniere. Qui è importante avere una visione femminista che intersechi classe/razza/genere, perché si tratta di una questione di classe, di razza e di genere, senza alcun dubbio.

Senza molti giri di parole, e senza giudicare quelle che vorranno scioperare dalle attività casalinghe concedendosi qualunque tipo di divertimento esterno, che si siano riappropriate del senso politico dell’8 marzo o meno, questo è quello che avevo voglia di raccontare in occasione di una giornata che vedrà tanta inutile e ipocrita retorica su media e comunicati politici. Senza nulla togliere a molte altre donne e categorie di lavoratrici.

La nostra giornata è di lotta e la nostra lotta arriva dal bisogno di manifestare tutte assieme per dire che diciamo basta e che vogliamo molto di più. Noi vogliamo tutto. Ma proprio tutto.

Buon 8 marzo a tutte voi!

Buon 8 marzo di sciopero transfemminista a tutt*!

per info su manifestazioni e altro ecco il sito di Non Una Di Meno

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