Il 91% delle persone deve cercare a lungo oggetti che non trova, mentre il 97,7% prova piacere a liberarsi di qualcosa. Solo 19 persone su 300 dichiarano di vivere serenamente i propri impegni, l’85,3% delle persone fa fatica a portare a termine gli impegni nei tempi previsti e il 94,6% rimanda – spesso – al domani ciò che non ha fatto oggi. Nell’epoca della iper-organizzazione, all’89% delle persone piacerebbe imparare a organizzarsi meglio.

È molto interessante sfogliare i risultati della ricerca Organizzato o disorganizzato, come ti senti?: il primo rapporto italiano sulla disorganizzazione effettuato dalla società Organizzazione Italia, che si è posta la domanda su quale sia l’incidenza della disorganizzazione sul nostro benessere. L’indagine ha coinvolto 300 persone alle quali è stato sottoposto un questionario online di 23 quesiti. Il risultato forse più inaspettato? “Che il superfluo è percepito come ingombrante nella propria vita e difficile da gestire”.

Molti ammettono di perdere “micro-tempi” (meno di dieci minuti) con cadenza così frequente nell’arco della giornata al punto da avvertirlo come un “problema costante”. Nonostante tutto la disorganizzazione è percepita solo come un problema personale con scarsa consapevolezza di quanto, al contrario, l’organizzazione sia fondamentale in un contesto sociale.

Il perché lo spiega Patrizia Cinti, sociologa e docente a contratto del Dipartimento CoRiS, Comunicazione e Ricerca Sociale di Sapienza Università di Roma. “Essere organizzati non è sinonimo di essere ordinati. Perché l’opposto dell’organizzazione non è il disordine, ma è la dispersione: di tempo mal vissuto, di spazi male utilizzati, di energie personali fisiche e mentali male impiegate, di aspirazioni e desideri sacrificati o negati”. Tutto può essere sprecato e dissipato – assicura l’esperta, che consiglia di:

1. Essere orientati verso obiettivi scelti per priorità e urgenza, per ottenere il migliore risultato al momento possibile;
2. Fare ricorso a ciò che abbiamo appreso di positivo nel passato, abbandonando ciò che non funziona più per evitare la dispersione;
3. Utilizzare al meglio i tempi, gli spazi e gli strumenti a disposizione, sollecitando la collaborazione di chi ci è accanto.

Al termine della ricerca sono stati individuati quattro gruppi di partecipanti:

1. i “disorganizzati consapevoli”, che vorrebbero migliorare la propria organizzazione e hanno risposto con coerenza dichiarando di perdere tempo a cercare le cose, di fare fatica a portare a termine i compiti nei tempi previsti e di mancare scadenze o appuntamenti;
2. i “disorganizzati veri” consapevoli di esserlo, la cui caratteristica tuttavia è rispondere e avere comportamenti non sempre coerenti;
3. gli ordinati che riescono a gestire spazi e tempi solo a proprio uso e consumo, generando ordine e non organizzazione. Il motivo? Perché viene a mancare la possibilità di condivisione del metodo organizzativo;
4. gli organizzati. Un gruppo per la verità poco numeroso, composto da individui che hanno uno spazio di lavoro di cui sono soddisfatti e riescono a seguire i propri impegni ritagliando anche tempo per loro stessi.

Secondo Fabiola Di Giov Angelo, curatrice della ricerca, “questa prima indagine è uno strumento capace di dare la misura della richiesta sociale di organizzazione in ogni ambito”. Il merito dell’indagine è porre il problema di quanto l’organizzazione personale non riguardi esclusivamente la sfera individuale, poiché ogni individuo è parte di un gruppo, di una comunità e del sistema sociale. Infine un dato curioso: il 78% delle persone intervistate dichiara di non aver risolto i propri problemi di organizzazione comprando strumenti organizzativi.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

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