Sono da poco usciti tre volumi notevoli, per qualità e spessore culturale, editi da Il Saggiatore, legati da un nemmeno troppo sottile filo rosso. Si tratta de L’editore fuorilegge, di Barney Rosset (introduzione di Luca Formenton e traduzione di Sarah Barberis), Le migliori menti della mia generazione, di Allen Ginsberg (a cura di Bill Morgan, prefazione di Anne Waldman, traduzione di Sarah Barberis e Leopoldo Carra) e Interviste, di William Burroughs (a cura di Sylvère Lotringer, traduzione di Silvia Albesano e B. Allessandro D’Onofrio).

Nel 1961 andai a Milano per testimoniare a un processo a sostegno dell’editore italiano Giangiacomo Feltrinelli, che era stato denunciato per la pubblicazione dei Sotterranei di Kerouac: secondo il pubblico ministero era un’opera pornografica. L’unico testimone della difesa ero io.

Barney Rosset, editore di Grove Press, casa editrice statunitense da sempre impegnata contro la censura, a favore della libertà di espressione, narra in questa coraggiosa autobiografia la sua straordinaria avventura nel mondo dei libri, un’avventura che lo ha portato a essere considerato uno degli editori più carismatici del Novecento, un rivoluzionario e ribelle cresciuto con il mito di John Dillinger, capace di riformulare il linguaggio narrativo e di combattere vittoriose battaglie contro le bigotte riprovazioni ufficiali del mondo dei costumi e delle arti.

L’editore fuorilegge è un viaggio che inizia nella Chicago dei gangster e approda nel Greenwich Village. Una fede assoluta del proprio sentire emotivo, culturale, umano, una fede che porta la minuscola Grove Press a pubblicare Henry James, Marguerite Duras, Alain Robbe-Grillet, Eugène Ionesco, il marchese de Sade. Al termine di una lotta all’ultimo sangue con la censura, riporta allo splendore originario L’amante di Lady Chatterley di Lawrence e Tropico del Cancro di Miller. E ancora, Beckett, Genet, Che Guevara, gli scrittori della Beat Generation e l’Autobiografia di Malcolm X: “Grove Press pubblicò gli scrittori della Beat Generation, includendo alla fine William Burroughs, quasi fin dai suoi esordi (…) Un giorno Ginsberg portò un suo manoscritto, Pasto Nudo. Pensai fosse l’opera di un genio”.

Penso che in realtà i lavori di Kerouac, Ginsberg, Corso e i miei siano molto, molto diversi. Abbiamo qualcosa in comune: la svolta dell’espansione della coscienza, l’uso del linguaggio, l’insistenza sul diritto di usare scene di sesso esplicite, e naturalmente la questione della droga. Quindi, se da un lato i Beat non sono stati un movimento in senso stretto, dall’altro lo sono stati; hanno contribuito ad abbattere la censura, a diffondere un atteggiamento diverso nei confronti delle droghe.

Le Interviste di Burroughs, curate da Sylvère Lotringer, sono un’opera monumentale. Tavole rotonde, colloqui con la stampa, comparsate in radio, confessioni distaccate ai quotidiani: appuntamenti che miscelati insieme svelano il tracciato intellettuale e umano di una personalità complessa. Tossico, disinfestatore di scarafaggi, esule a Tangeri, pedinatore di ragazzini in Messico, emule di Guglielmo Tell, esiliato in universi paralleli, Burroughs racconta, in oltre mille pagine che si leggono come un romanzo avvincente sul secolo scorso, i suoi rapporti con Allen Ginsberg, Gregory Corso e Brion Gysin, gli incontri con David Bowie, Tennessee Williams, Christopher Isherwood e Patti Smith, analizza i fattori storici, dalla controcultura all’epidemia dell’Aids, cerca di scomporre la sua tecnica narrativa e di tornare alla fonte della sua creatività, soffermandosi spesso sul lavoro di ricerca e stesura delle storie. Un volume imperdibile per chi voglia avere una visione quasi completa dell’autore di Pasto nudo e Ragazzi selvaggi. “Non sono un tossicomane. Sono il tossicomane. Il tossico che ho inventato per dare spettacolo sulla via della roba. Sono tutti i tossici e tutta la roba del mondo”.

Kerouac pensava di scrivere un romanzo sulla guerra civile. Aveva visto tutte quelle foto dei ragazzi nei campi durante la guerra civile, giovani di bell’aspetto come vengono descritti da Whitman. Kerouac si era reso conto che non erano diversi da noi. Erano persone con la stessa intelligenza spermatica di tutti e le stesse avventure decise di introdurre Burroughs come un generale morfinomane del sud, Cassady invece lo introduce come eroico cavaliere spensierato con cavalli al galoppo e furti di pistole, sempre in giro a ubriacarsi con gli indiani.

Le migliori menti della mia generazione raccoglie tutte le lezioni tenute da Ginsberg al Naropa Institute Brooklyn College. Si tratta di una chiave di lettura del movimento Beat data da uno dei suoi massimi protagonisti, prendendo come esempio per la comprensione dell’uditorio le opere di Kerouac, Burroughs, Corso e degli altri attori narrativi e performativi coinvolti. Tra aneddoti personali, racconti collettivi, nottate di jazz, visioni lisergiche, viaggi reali e metafisici tra New York e il mondo, lutti, redenzioni e ribellioni cosmiche, Ginsberg traccia un’esaustiva mappatura della Beat Generation, senza sconti, con il candore selvaggio di un grande poeta.

Articolo Successivo

Settant’anni fa ci hanno spiegato la corruzione nei palazzi di giustizia. E le cose non sono cambiate

next