Cinema

Il professore cambia scuola, viaggio centrifugo alla scoperta di cosa c’è lontano dall’ancient regime

Una camera di sorveglianza sulle nuove generazioni e le “nuove comunità sociali” della Francia per comprendere vizi e virtù degli adulti che li hanno generati ed educati. Il film uscirà nelle sale italiane il 7 febbraio

di Anna Maria Pasetti

Meglio far valere la forza dell’autorità o puntare sulla complicità e il dialogo? Un bel dilemma quando si tratta di gestire orde di adolescenti delle banlieu, multi-colore, cultura e lingua, eppure tutti figli della grande Francia. Il professor François Foucault ne sa qualcosa: figlio irrigidito di padre intellettuale brillante, insegna lettere al miglior liceo di Parigi ma viene spostato per un anno nella profonda periferia per assecondare un progetto “educativo” ministeriale. D’altra parte non è buona cosa mettersi di traverso alle istituzioni quando sono loro a chiedere favori. Così è che l’occhialuto docente, single e assai problematico, trasloca professionalmente dagli agi della posh parisienne ai decrepiti panorami edili ed umani della suburra, ai suoi occhi selvaggi e bifolchi.

Romanzo di formazione più per docenti che non per discenti, Il professore cambia scuola (in originale Les grands esprits) di Olivier Ayache-Vidal naviga sicuro sulla scia creata dalla tradizione francese del cinema “fra i banchi”, erede a sua volta di quello sguardo naturalista e altamente verbalizzato che tanto ha insegnato al mondo in termini di rappresentazioni dei grandi incontri/scontri umani. Fiumi di parole scorrono fra ragazzi e i loro prof. e la macchina da presa non si stanca di stare in mezzo a loro, quasi confondendosi fra zaini e quaderni con l’intento di capirli sempre meglio: una camera di sorveglianza sulle nuove generazioni e le “nuove comunità sociali” del Paese per comprendere vizi e virtù degli adulti che li hanno generati ed educati.

Il modello ispiratore rimanda ai film di Laurent Cantet (La classe– Entre les murs, 2008, su tutti) ma anche di Abdellatif Kechiche (Tutta colpa di Voltaire, 2000 ma anche La schivata, 2003 fino a Mektoub, My Love: canto uno, 2017) e di Celine Sciamma (Tomboy, 2011 e Diamante nero, 2014): fra il documentario e la finzione, opere tenute insieme da una narrazione sublime, instancabile, atta a mostrarci chi sono loro (i ragazzi) e chi siamo noi (gli adulti) e cosa può uscire dai relativi scontri ed incontri. In tale contesto la storia del prof  François (interpretato da un perfetto Denis Podalydès) è un emblematico viaggio centrifugo alla scoperta di cosa c’è là fuori, lontano dall’ancient regime e più vicino alle vibrazioni sociali contemporanee. E la bella sorpresa è che la barbarie dell’hic sunt leones è mutata in vitalità assoluta, in energia contagiosa capace di trasformarsi e trasformare in moto perpetuo. È chiaro che il Bildungsroman funzioni soprattutto per il professore che – una volta evoluto in essere umano – potrà agire maieuticamente sui suoi nuovi studenti. Il film uscirà nelle sale italiane il 7 febbraio.

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