Buon anno nuovo? No. C’è stato qualcuno che la sera dell’ultimo dell’anno non ha ascoltato né le parole del Presidente della Repubblica, né quelle del Papa che invitavano a smetterla con gli atti di odio che hanno segnato pesantemente l’anno appena trascorso con la violenza, l’intolleranza e il rancore diffusi. Così, per iniziare il nuovo anno all’insegna della cattiveria e dell’odio, 49 immigrati hanno fatto il Capodanno in mezzo al mare aspettando che qualcuno li accolga. E nel Bresciano, nella notte del primo dell’anno, un agguato ha distrutto i caravan di due famiglie sinte e ha ferito gravemente con un colpo di arma da fuoco un sinto di 44 anni.

La procura ha aperto un’inchiesta e ci sono già indagati. I fatti sono semplici: un giorno sì e uno pure c’è qualcuno dalla televisione che dice che gli zingari rubano, il furto fa parte del loro dna. Quindi se in un cantiere qualcuno ruba è semplice: andiamo a trovare degli “zingari” (di merda, ovviamente) ed eccoli qui che dormono tranquilli nelle loro roulotte. Non sono stati loro? Pazienza, comunque sono “zingari” e quindi ladri. Un po’ di benzina e se uno se ne esce con un bel colpo di fucile, allora “giustizia” è fatta. E la notizia non merita neanche tanta attenzione dai media: fa parte della normalità.

Qualcuno può negare il fatto che uno che si erge a giudice e carnefice è il frutto di una costante eccitazione del senso di insicurezza. Qualcuno può negare il fatto che invocando la difesa legittima a ogni costo puoi farti “giustizia” da te. Ma quel qualcuno sa benissimo che questo clima è opera sua. E allora che cosa si può dire a chi si sente legittimato a pensare che zingaro uguale ladro e quindi autorizzato a bruciare e sparare? In fondo cosa fa di male? Lui si sente in buona compagnia se si propongono solo ruspe ed espulsioni come mezzi per risolvere un problema.

Ricordo il cittadino “normale” che, a un carnevale di pochi anni fa, tanto per dare una “lezione” agli “zingari” sparò a una roulotte uccidendo un padre di famiglia, e quell’altro ancora più “normale” che in un’intervista in tv affermò che a quella bambina colpita alla schiena non bisognava sparare con un piombino ma con un vero proiettile. Ricordo gli ormai quotidiani episodi di violenza su autobus e metropolitane di giustizieri – l’ultimo sul metrò di Milano tre giorni fa nei confronti di una donna rom incinta, per un tentato taccheggio – in attesa che la legittima difesa si trasformi in legittima offesa per cui, come è già successo, una stecca di sigarette, un pacco di biscotti, un portafogli o anche un’auto vale di più della vita di un essere umano, tanto più quando questa vita è una vita di serie B, come quella di un “negro”, di uno “zingaro” o di un extracomunitario.

Caro Presidente della Repubblica, caro Santo Padre, le vostre parole mi hanno fatto sperare per un momento che qualcosa potesse succedere nelle coscienze di chi trasforma in odio il proprio malessere, di chi crede di difendere con la violenza la proprietà, il suo territorio o la sua “identità” contro gli “invasori”, i “ladri” e i “diversi”, di chi si sente legittimato alla violenza dalla politica per la quale diventa spregevole essere buoni e si diventa “buonisti”, che mette la tassa sulla bontà delle migliaia di persone che credono che ogni nostro prossimo sia uguale a noi, che pensa di essere più uguale degli altri uomini.

Mi sono sbagliata. E devo dire che in qualche modo provo meno disgusto per i veri “cattivi”, quelli che non si nascondono dietro le parole, che sputano il loro veleno senza giustificarsi, che per gli ipocriti che festeggiano il Natale, si occupano del presepe, vanno in chiesa, convinti di essere brave persone, e se non hanno il coraggio di compiere l’atto violento, godono quando qualcun altro lo fa e sputano sui social odio e rancore.

Caro Santo Padre, sono d’accordo con Lei, è meglio essere atei che cattivi cristiani. Ma viviamo in un Paese nel quale i massimi esponenti politici fanno giuramenti sul Vangelo, combattono per ogni presepe in ogni scuola, e poi, con il rosario in mano, conducono vere e proprie campagne d’odio contro gli immigrati e gli “zingari”. Viviamo in un Paese nel quale l’informazione di stato omette di parlare di un crimine d’odio, di un tentato omicidio per motivi razziali e ci raccontano altro. Viviamo in un Paese nel quale tante persone lavorano per aiutare il prossimo, credono in una società diversa e con tenacia, ogni giorno, compiono piccole coraggiose azioni, ma si sentono soli e umiliati. Per questo, caro Santo Padre, penso che sia necessario lavorare con loro, perché – contrariamente a quanto si dice – sia la moneta buona a scacciare quella cattiva. Nel frattempo, quelli come me bisogna che si guardino le spalle dalla gente “normale”.

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Sono medico e malato. E anche per il 2019 mi auguro di avere un registro tumori a Napoli

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